Alberto attraversa la Nuova Zelanda per beneficenza
Ventotto anni di Sassuolo, Alberto Bellini è partito per la sua impresa il primo dicembre, iniziando il Te Araroa, il percorso di escursionismo che attraversa la Nuova Zelanda da un capo all’altro, lungo le due isole principali del paese. Prima tappa: Capo Reinga. In questo tempo ha già percorso 1850 chilometri. L’obiettivo è arrivare a Bluff, nel sud del paese, entro marzo. Il tutto raccogliendo fondi per l’Associazione “Per Vincere Domani”, impegnata nel sostegno e nella crescita dell’assistenza oncologica. Ecco la sua storia.
Di Enza Petruzziello
Sta attraversando uno dei trekking più difficili al mondo: 3000 chilometri a piedi, dal sud al nord della Nuova Zelanda, il tutto raccogliendo fondi per l’Associazione “Per Vincere Domani”. Protagonista di questa impresa è Alberto Bellini, 28 anni di Sassuolo, in provincia di Modena. Trasferito da anni in Australia, a dicembre ha iniziato il Te Araroa, il percorso di escursionismo che attraversa la Nuova Zelanda da un capo all’altro, lungo le due isole principali del paese.
Partito da Capo Reinga (nord-ovest della Nuova Zelanda) il 1° dicembre, Alberto ha già percorso 1850 chilometri. L’obiettivo è arrivare a Bluff, nel sud del paese, entro marzo. Il giovane è da solo in questa impresa e sta raccontando il suo viaggio tramite video e foto sui suoi social dando massima visibilità a Per Vincere Domani Onlus, associazione impegnata nel sostegno e nella crescita dell’assistenza oncologica.
Alberto partiamo dall’inizio. Che cosa facevi a Sassuolo prima di trasferirti in Australia e perché hai deciso di andare a vivere all’estero?
«Avevo una vita normalissima come tutti. Lavoravo in un’azienda come tecnico di produzione, un lavoro che mi piaceva molto, senza stress e che mi permetteva di stare in giro e avere libertà. Nello stesso tempo avevo relazioni stabili sia d’amore che di amicizia. Tutte queste cose si sono mosse insieme parallelamente per 5/6 anni, fino a quando durante la pandemia una voce interna mi ha messo davanti ad un bivio che non potevo più ignorare. È da lì che ho cominciato seriamente a pensare di cambiare vita. È stato un episodio a far scattare il “clic” e a spingermi ad impacchettare la vita di prima per iniziare a seguire la bussola interiore».
Così a dicembre è iniziata la tua impresa: il Te Araroa, 3000 chilometri a piedi attraversando la Nuova Zelanda da un capo all’altro, lungo le due isole principali del paese. Come è nata l’idea di questa avventura e cosa ti ha spinto a intraprendere questo incredibile trekking attraverso la Nuova Zelanda?
«La Nuova Zelanda è da sempre nei miei sogni, fin da bambino. Terra lontana, vergine e verde, sapevo che ci sarei venuto prima o poi. Stavo ancora vivendo in Italia quando ho scoperto del Trail e l’ho messo subito nella bucket list delle cose da fare, dal momento che da lì a poco mi sarei licenziato. Nel dicembre 2022 ero in Australia e sapevo che non sarei rimasto per 2 anni di fila, allora aprendo la bucket list mi sono detto: “O lo pianifico e vado a farlo tra poco, altrimenti addio”. Essendo da sempre un appassionato della natura e uno sportivo ho iniziato a programmarlo seriamente comprando il biglietto, trovando sponsor e avviando una raccolta fondi. Oltre al viaggio in sé, mi ha spinto la voglia di mettermi in gioco e la curiosità di scoprire se sarei stato capace di fare un viaggio così impegnativo sotto tutto gli aspetti. Diciamo che la sfida personale é stato il motore principale di tutto».
Perché hai deciso di dedicare questo viaggio alla raccolta fondi per l’Associazione ‘Per Vincere Domani Onlus’? Qual è il legame personale che hai con la loro missione?
«Prima del viaggio, non avevo alcun legame speciale con l’associazione; a malapena la conoscevo. Tuttavia, poiché cercavo un supporto locale e, grazie all’aiuto di mia madre che già la conosceva, ho individuato questa associazione ben nota nel territorio. Si occupa di assistere le persone nel reinserirsi nella società dopo aver affrontato la malattia. Loro vivono di donazioni e raccolte fondi, abbiamo parlato del progetto dopo una chiamata, e le cose sono andate avanti senza intoppi».
Come ti sei organizzato fisicamente e praticamente per questa impresa che ti vede viaggiare in solitaria?
«Fisicamente sono sempre stato molto sportivo e questo aspetto non mi ha mai preoccupato: tra corsa, calcio, trekking e trail running, tutti sport cardio, sapevo di essere allenato. Ero più preoccupato dal punto di vista mentale, perché questo trekking ti schiaccia mentalmente ed ero consapevole che tenere la testa lucida e positiva per mesi e per così tanti chilometri sarebbe stata la parte più dura. Ma sapevo anche che mi sarei abituato alla grande. Nella pratica è semplice. Non si organizza nulla. Si guarda tappa per tappa e giorno per giorno. Troppo lungo il tragitto e troppi imprevisti, quindi si pianifica sempre a corto raggio. Ovviamente c’è l’organizzazione dello zaino e del materiale che mi è stato in parte fornito da alcuni sponsor locali. C’è da avere un visto valido, sacco a pelo, tenda e altre cosine utili. Meglio sapere l’inglese (senza sei un po’ tagliato fuori in tante cose), ma soprattutto ci vuole molto spirito di adattamento, aver già viaggiato da zingari ed essere svegli».
Sei partito il primo dicembre da Capo Reinga e in questo tempo hai percorso già 1850 chilometri. Quali sono state le difficoltà che hai incontrato e com’è stata l’accoglienza della gente del posto?
«Difficoltà numero 1, il meteo. Bisogna controllare sempre le previsioni meteorologiche perché qua il tempo è molto pazzerello e a volte pericoloso. Le perturbazioni, ovvero la pioggia e non solo, portano all’ingrossamento veloce dei fiumi, che poi sono difficili da attraversare in certi punti. Una volta sono rimasto bloccato in un bivacco per 3 giorni perché non potevo attraversarne uno e proseguire. Diciamo che il meteo è la parte da tenere davvero sott’occhio. Poi c’è il percorso, che a volte è il fiume e a volte è insistente. Quindi ci si perde, si finisce per cadere o rimanere bloccato tra cespugli spinosi come mi è capitato. Non è un trail che ti permette di stare tranquillo. I neozelandesi (o kiwi) sono fantastici. Sempre pronti ad aiutarti e a darti informazioni. Molto curiosi e desiderosi di ascoltarti. Finora uno dei popoli più ospitali che abbia mai incontrato».
Raccontaci del tuo viaggio, quali sono state le tappe principali? Dove sei stato? Ci sono momenti particolarmente memorabili o difficili che vorresti condividere?
«Il trail è composto da tante sezioni messe tutte insieme. Come città principali nell’isola del sud per ora ho percorso Queenstown, Wanaka e Picton. Nella nord la capitale Wellington poi Levin e Palmerston nord. Il trail nel sud taglia l’isola in 2 passando in mezzo, quindi sei sempre nella natura, vai fuori dal trail solo per prendere da mangiare. Poi nella parte centrale si percorrono tutti i laghi principali per poi arrivare al Richmond Range, la section più difficile e poi il Queen Charlotte. Adesso sono a Tongariro National Park aspettando che mi guarisca una vescica e poi si va verso nord. Difficile sì, quando sono stato bloccato per quasi un’ora dietro una roccia perché pioveva fortissimo con un vento impressionante e non potevo più muovermi. Avevo già tirato fuori il garmin in caso di necessità e di soccorsi. Lati positivi ce ne sono tanti: quando arrivi sulle vette dopo aver faticato tantissimo, con il peso dello zaino e del tragitto fatto, è una sensazione unica. Alcune cose sono davvero indescrivibili. Poi ci sono gli autostop, alcuni molto stravaganti, con incontri eccezionali, che rappresentano davvero una grossa fetta del viaggio dal punto di vista di esperienze memorabili».
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Che sensazioni si provano a percorrere un viaggio così lungo a piedi?
«Il senso di libertà è impressionante. Puoi fare letteralmente ciò che vuoi. Dormire dove vuoi, mangiare dove vuoi, fermarti quando e dove vuoi. Poi, ogni tanto, ti rendi conto che stai attraversando un intero paese a piedi, quindi ti viene la pelle d’oca e nello stesso momento magari incontri qualcuno sorpreso per quello che stai facendo e lì tutto diventa magia. Ovviamente a volte vorresti solo buttare lo zaino giù per un dirupo, colpa della stanchezza, del caldo o del freddo o di altre cose che durante un viaggio così vengono fuori tutte. Ogni cosa viene vissuta con maggiore sensibilità perché devi contare sul tuo corpo e sulla tua mente per tutto il tempo, e quando uno dei due inizia a cedere lì si concatenato tantissime sensazioni e problematiche da gestire. Non è facile viaggiare a piedi, ma se non è facile vuol dire anche che è meraviglioso. Poi si ha il tempo per pensare alle tue cose senza stress o riflettere su alcune dinamiche, meraviglioso insomma».
Hai scelto di documentare il tuo viaggio attraverso video e foto sui social. Qual è l’obiettivo dietro questa scelta e come pensi che possa contribuire alla tua causa?
«L’obiettivo (oltre a quello personale) è cercare di aiutare l’associazione. Molte persone mi hanno suggerito di condividere sui social il mio viaggio, visto anche la sua unicità e particolarità. Non sono solito pubblicare molto, ma ho cercato di spingermi al massimo per aumentare la visibilità, dato che i contenuti sui social si diffondono rapidamente in modo capillare. Questa è sembrata la via più efficace per raggiungere un vasto pubblico e contribuire alla causa dell’associazione».
Come hai coinvolto la comunità, in Italia, nel tuo progetto di raccolta fondi? Hai ricevuto un feedback significativo?
«Ho cercato di diffondere il progetto il più ampiamente possibile attraverso una campagna di raccolta fondi su GoFundMe, condividendo dettagli sulle attività dell’associazione e spiegando le ragioni del mio impegno. Finora abbiamo raccolto una cifra significativa, proveniente principalmente dalle generose donazioni della comunità locale. Tuttavia, spero che possano giungere ulteriori contributi per sostenere la causa».
Oltre al Te Araroa hai fatto altri viaggi a piedi e quali?
«Non lunghi così, ho fatto la “Via degli Dei” un paio di volte e niente più. Poi tantissimi trekking e hiking per le Dolomiti e non solo, ma niente del genere. Sapevo comunque di poter contare su una buona risposta del mio corpo e così è stato».
Vantaggi e svantaggi di viaggiare a piedi?
«Pro. Si vedono dei posti che con la macchina o van non vedresti mai, angoli nascosti che mai ti saresti aspettato di ammirare. Il viaggiatore a piedi è visto molto bene da tutti, quindi hai molti aiuti da tantissime persone in qualsiasi situazione, sei spesso protetto dalla comunità. La gente ha sempre un occhio di riguardo anche se vai solo a bussare ad una porta per chiedere acqua o montare una tenda. Poi il sapere che stai facendo tutto con la forza del tuo corpo rende tutto bellissimo, guardi la mappa e dici: “Caspita, ma io 2 mesi fa ero nel punto più a sud della Nuova Zelanda e ora sono qua, wow”. Tra viaggiatori a piedi c’è subito connessione o feeling perché si è sulla stessa barca e si conoscono le difficoltà. È un po’ un mondo a parte, ma molto umano. Un altro aspetto positivo è la lentezza, tra le cose più importanti e significative in questa società frenetica. Veniamo ai contro. Beh, a volte per raggiungere un posto ci vogliono più di 10 ore di cammino. Gli imprevisti e la lentezza del tuo movimento rallentano ancora di più il tuo viaggio e quindi sei costretto a cambiare piano molto velocemente con le sole informazioni che hai e che gli altri viaggiatori ti hanno dato. Il tempo è un altro svantaggio, se piove forte devi trovare riparo e per la notte sei sempre alla ricerca di un posto dove stare. Anche se non è proprio un contro, quando sei stanco non hai tutta questa voglia di farlo. Inoltre il nervosismo e il cattivo umore vengono a galla più velocemente. Nelle strade asfaltate macchine e camion che passano vicine a te non sono il massimo, a volte ti chiedi chi te l’ha fatto fare, ma fa parte del gioco. Poi cosa importante avere sempre del peso con te rallenta i movimenti e rende tutto più difficile, quindi lo zaino cerchi sempre di tenerlo più leggero possibile».
C’è un messaggio che vorresti condividere con coloro che seguono il tuo viaggio e che potrebbero essere interessati a sostenere la tua causa?
«Vorrei solo invitare la gente a leggere quello che fa l’associazione e, se vogliono, a condividere il mio impegno. Anche una semplice condivisione può apportare un contributo significativo ad un’associazione che assiste le persone dopo la malattia, considerando che tutti, direttamente o indirettamente, abbiamo esperienze in tal senso. Come messaggio personale, vorrei invitare le persone a superare la paura del prossimo e ad esplorare ciò che si trova al di là del nostro cancello. Il mondo è ricco di individui straordinari, più di quanto spesso crediamo. Dovremmo perseguire i nostri sogni con determinazione, poiché la vita ci offre un’unica opportunità e alla fine, non abbiamo nulla da perdere».
Hai in mente di tornare in Italia dopo il completamento del trekking? Cosa hai in programma per il futuro dopo questa avventura?
«Si tornerò in Italia ma non per più di un mese direi. Probabilmente andrò in Spagna, poi ho altre cose da fare , vedremo dove l’universo mi chiamerà».
Per contattare e seguire Alberto nel suo viaggio ecco i suoi recapiti:
Facebook: https://www.facebook.com/alberto.bellini.18
Instagram: @albi_bellini4
e-mail: albibelli4@icloud.com
GoFundMe: gofund.me/0cba6164
Sito web di “Per Vincere Domani Onlus”: https://pervinceredomani.org/