Cucina italiana: ci si abitua all’estero oppure no?
Ad un certo punto di una vacanza, al viaggiatore italiano si presenta quasi puntuale un dilemma di non sempre facile soluzione: “Stasera mangio cibo locale o cerco un ristorantino italiano?”.
Un dubbio quasi amletico, fin troppo comune, a volte praticamente inevitabile e tipico del turista italiano abituato a tanti tipi diversi di leccornie – nessun campanilismo, sulla bontà della cucina italiana tutto il mondo è concorde – a cui, a volte, è davvero troppo difficile dire di no.
Mettiamo un viaggio in Cina o in Thailandia: lì la cucina non solo è molto diversa da quella italiana, ma c’entra anche poco con quella che spacciano per tale i ristoranti cinesi o thailandesi che troviamo nelle nostre città.
E quindi che fare? Rischiare ed aprirsi a sapori ed usanze culinarie completamente diverse o cercare qualcosa di più familiare?
Certo, nel corso di una vacanza almeno un pranzo, uno spuntino, una cenetta a base di cibo locale è d’obbligo, e i posti in cui ristorarsi sono ovviamente tantissimi e molti a buon mercato.
C’è chi viaggia quasi esclusivamente per provare nuovi piatti. Ma vale davvero la pena mangiare tutti i giorni cibi che, per i nostri gusti, appaiono sempre troppo speziati, dolci, agrodolci, dolciastri, salati, piccanti o, più semplicemente, disgustosi?
Chi cerca la cucina italiana anche all’estero può dunque chiedere in giro o affidarsi a più conosciuti ed affidabili opinion leader del settore, facilmente consultabili su internet o riviste specifiche. Vi spediranno al “Basta Pasta” di New York, o all’ “Aglio e olio” di Londra, o ancora al “Monteleone” di Parigi.
Ma come non pensare agli italiani che, per motivi lavorativi o sentimentali, ad un certo punto lasciano l’Italia e la sua cucina e si trasferiscono a Londra, a Parigi, a Praga, ad Amsterdam? Loro come faranno?
Il turista, dopo una settimana o due, torna a casa e riprende la sua solita dieta. Ma chi in Italia ci tornerà, a sua volta, da semplice villeggiante, che dovrà inventarsi? L’olio d’oliva, il parmigiano, i pomodori, la mozzarella, il prosciutto, i vari formaggi, le varie confetture: dove troveranno tutto quel che di buono gli offriva la madrepatria? E chi le cucinerà? Chi infornerà una bella pizza margherita all’emigrante di Napoli, chi preparerà il pesto per il genovese?
Insomma, come faranno a placare la saudade gastronomica che quasi inevitabilmente li ferirà al palato e allo stomaco? La cosa da fare in questo caso è diffidare dai prodotti che i supermercati locali spacciano per “made in Italy” e, se proprio in patria non è rimasto qualche parente che può spedire pacchi ricchi di cibo di casa nostra in giro per il mondo, contattare un importatore alimentare da cui acquistare materie prime provenienti dall’Italia e risparmiare così anche qualcosa sul prezzo nei vari supermercati; e, ovviamente, cucinarle a casa.
Oppure, per chi è in Europa, un’ottima alternativa è quella di condividere un europallet con altri italiani emigrati. Si potrebbe pensare che sarebbe complicato, ma non è così. Un italiano all’estero facilmente entra in contatto con gli altri espatriati italiani, così come è facile contattare un trasportatore locale che potrebbe caricare in Italia.
Ed il gioco è presto fatto: basta fare gruppaggio in uno dei tanti magazzini che forniscono questo servizio e condividere così il prezzo di trasporto con altri connazionali. Molto più conveniente che farsi spedire un pacco via posta.
Forse gli emigrati di altre nazionalità riescono a fare a meno della propria cucina natìa, perchè no? Ma per l’italiano è praticamente impossibile dire addio alla sua cucina. Ci si può pure abituare a mandar giù cibo diverso e farlo per varie volte alla settimana. Ma rinunciare del tutto al nostro, quello no. Non è proprio possibile.