Cinzia e la sua vita in Senegal
Africa, Senegal; questo paese ha stregato molte persone che non sono riuscite a rimanere immuni dalla sua magia. I colori, l’indole particolarmente amichevole dei suoi abitanti, i sorrisi dei bambini sono state spesso maglie a cui sono restati aggrappati i sogni di molti viaggiatori. Un paese bellissimo affacciato sull’Oceano Atlantico, meno fragile, economicamente parlando, di molti altri stati africani, costituisce un’importante meta turistica, in particolare per il circuito del turismo etico. Un paese ricco di bellezze naturali e dalla variegata mescolanza di etnie: cosa questa che, forse, contribuisce anche alla notevole tolleranza religiosa che rappresenta una delle caratteristiche più importanti del paese. E in Senegal, ha costruito la sua nuova vita una donna, Cinzia, con i suoi quattro figli. Un amore per questo paese lungo molti anni e frutto di un percorso umano ricco e, a tratti difficile. Ora crea oggetti d’arte e ha trovato il suo luogo dell’anima.
Cinzia, qual è stato il tuo primo incontro con il Senegal?
A quindici anni feci il mio primo viaggio in Senegal, una vacanza offerta da amici di mia mamma, senegalesi immigrati in Italia per studiare. Una vacanza indimenticabile durante la quale fui ospitata in casa loro come una persona di famiglia avendo modo di vivere il vero spirito senegalese. La maggior parte del mio tempo lo passai con Dady, una ragazza della mia mia età e a tutt’oggi una sorella con la quale parlo e mi confido sempre volentieri. La persona più importante, che ha segnato il mio incontro e approccio con il Senegal è stato Ndongo Ndoye, divenuto il mio padre adottivo, dal momento che ho perso il mio naturale all’età di sei. anni. L’ho sempre stimato moltissimo per la sua forza d’animo e intelligenza; immigrato in Italia per studiare e lauretosi a pieni voti in Economia e Commercio alla Facoltà di Brescia. Ritornato poi in Senegal per realizzare il suo obiettivo; aprire un’azienda, costruire una bella casa in uno dei quartieri più signorili di Dakar, per lui e la sua numerosa famiglia non dimenticandosi mai del suo villaggio Mbao, che si trova sul mare a pochi km da Dakar. Una vacanza durata venti magnifici giorni, durante la quale mi sono sentita a mio agio e me stessa, visitando luoghi, andando di casa in casa, condividendo bei momenti con ragazzi della stessa mia età, senegalesi. Ed ecco il rientro in Italia e l’arrivo del così detto “mal d’Africa”.
Cioè, come si è manifestato per te?
Sei mesi di pianti, con mia madre che non sapeva più cosa fare. Passavo le notti a sognare la mia vita lì, a sentire ancora il profumo del dopo tempesta, pensando alla passeggiata dopo cena, al dialogare seduti su un marciapiede, alla semplicità nella quotidianità, al tempo vissuto sempre al presente.
E intanto la vita continua…
Passano gli anni e percorro la vita facendo vari lavori, due matrimoni, la prima figlia a ventun’anni e altri tre figli avuti dal secondo matrimonio e quel sogno sempre lì, presente nel cassetto dei desideri. Nel frattempo finisce anche il mio secondo matrimonio con un dolore immenso, tanto da non riconoscere più me stessa, chi ero e dove volevo andare; avevo un solo punto fermo, i miei figli. Che fare? Mi sentivo una morta vivente e proprio in quel momento riaprii il cassetto dei sogni e con la mia creatività e incoscenza comincio a dar vita al mio sogno all’età di trentacinque anni. Decido di aprire un negozio etnico a Mestre cercando di far conoscere, in modo semplice, un po’ di cultura Africana, per lo più senegalese, tramite oggetti di Arte Africana e accessori disegnati e creati da me con l’aiuto anche di artigiani senegalesi, e utilizzando tessuti e altri materiali africani. In Africa ogni oggetto utilizzato nella quotidianità è simbolo di lavoro, storia e rituale. Cominciano così i miei viaggi in Senegal, due o tre volte l’anno, sempre ospitata nei miei soggiorni dalla famiglia Ndoye.
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E durante questi viaggi cominci ad avvicinarti alla religione musulmana.
Sì, durante questi viaggi, oltre alla continua ricerca per il mio lavoro, la mia passione, mi aproccio sempre di più alla religione musulmana, restando ore ad ascoltare canti a me incomprensibili ma che arrivavano dritti al mio cuore; un richiamo fortissimo. Ritrovo sempre di più, nel rituale della preghiera, gesti spontanei, vicini al mio modo di essere. Ogni volta che rientravo poi in Italia, avevo la sensazione di poter vivere di quell’energia che mi aveva trasmesso il Senegal tanto che dicevo: “In Senegal vivo, in Italia sopravvivo. E mentre i miei problemi personali aumentano ritrovo la forza, piano piano, in quella fede, in quelle preghiere. Aprendo il Corano a caso trovavo le risposte per andare avanti. Una notte mi alzo di soprassalto, vado a vedere i miei figli che dormivano e in quel momento sento il mio cuore che mi dice: “Sei pronta per andare”. Sì, volevo fuggire e correre in quel paese, a quel pezzo di mare che, al solo guardarlo, mi ridava la vita. Ma come fare? Non avevo fondi. Eppure dentro di me avevo quella vocina che mi diceva: “Abbi fede che tutto arriva, credici”.
Quindi cosa hai fatto?
Nell’arco di tre mesi organizzo tutto, container per il trasloco, scelta delle scuole per i figli, affitto di una casa, chiusura del negozio e la mia conversione alla religione musulmana, avvenuta in Italia con l’appoggio e la preparazione di un’altra famiglia senegalese a me molto cara, la famiglia di Yama Thiam. Comincia così la mia nuova vita in Senegal con il mio nuovo nome “Aminata”. Il 30 luglio 2011 prendo l’aereo con i miei figli e arrivo a Dakar dove viviamo oggi, in un quartiere tranquillo, zanzare permettendo, vicino alle scuole che frequentano. Affrontando giorno dopo giorno questa nuova vita, a volte faticosa, ma più semplice di quella che vivevo Italia.
Com’è il tuo rapporto con la popolazione locale?
Direi positivo tutto sommato; non ho mai avuto grossi problemi o incontrato ostilità eccessive. Certo è che è sempre presente il pensiero “toubab” (occidentale)= denaro. L’ideale sarebbe quello di parlare bene la lingua del luogo, il wolof; ci sto provando ed è impresa ardua. La popolazione senegalese mi ricorda molto la gente del Sud d’Italia, solare, con una grande gestualità, mai puntuale agli appuntamenti, disponibile al dialogo e a far festa. Un paese comunque in sé tranquillo, ma con grossi problemi a livello burocratico, logistico e spesso anche sanitario. Lo consiglierei, per una vacanza, a chi ama la natura, il mare, l’arte, la musica e la danza . Diciamo che si possono organizzare itinerari di vario genere, ricordandosi che siamo in Africa; dunque ci vogliono le giuste precauzioni ed è meglio affidarsi a persone presenti sul luogo da tempo. Una cosa che mi ha molto colpita è la perfetta convivenza e tolleranza fra le varie religioni. Una cosa a cui invece ho fatto fatica ad abituarmi è il fatto di non sapere mai quale sia il reale prezzo delle cose: ci vuole pazienza per imparare a contrattare.
E il tuo lavoro come va?
Attualmente continuo il mio lavoro sul web e collaboro anche con un’altra ragazza italiana creando con lei collane, borse, complementi d’arredo.
I tuoi figli vivono bene nel loro nuovo paese?
Direi proprio di sì, si sono integrati tranquillamente, soprattutto i due più piccoli che frequentano una scuola privata senegalese in cui sono gli unici due occidentali. E questo per me è essenziale.
Sei quindi convinta della tua scelta?
Nel modo più assoluto. Quando sento sorgere l’inquietudine o quando devo affrontare qualche problema, guardo lo stesso mare che mi ha catturata anni fa e mi dico: “Finalmente sono a casa.” Cosa voglio di più? E, per il resto, come si dice qui, inchallah.
cipa73@hotmail.it la mail di Cinzia
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A cura di Geraldine Meyer