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Coronavirus: che cos’è e perché si chiama così

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Covid-19: come ha cambiato le nostre abitudini

Di Gianluca Ricci

È conosciuto da tutti come Coronavirus, ma è una pietosa semplificazione, uno di quegli accorgimenti a cui gli uomini indulgono quando si tratta di ridurre a materia comprensibile ciò che invece diventerebbe troppo complesso, e dunque più preoccupante, se ci si attenesse alla realtà dei fatti.

Quando si usa quella parola – e lo si fa purtroppo da tanto tempo – si finisce sempre per intendere nello specifico un elemento, quel minuscolo organismo parassitario che, sviluppandosi in modo infingardo e velocissimo, si è diffuso nelle ultime settimane in ogni continente provocando disfunzioni, malattie e, nei casi peggiori, decessi.

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Più una innumerevole serie di disagi che sta mettendo a dura prova l’organizzazione e la resistenza della comunità umana.

Le origini del nome

Lo si chiama Coronavirus, ma non è il nome corretto: i Coronavirus sono in realtà una vasta famiglia di virus così chiamati perché al microscopio evidenziano un filamento particolare che lo rende simile ad una corona.

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Di Coronavirus ce ne sono tanti, raggruppati dai virologi in famiglie e generi specifici e distinti fin dai primi anni Sessanta, quando vennero identificati per la prima volta: tutti si accaniscono contro le cellule degli apparati respiratori e gastrointestinali degli animali e solo sette di essi contro quelle degli uomini, come l’ultimo nato, il cui nome scientifico è in realtà Sars-CoV-2, identificato alla fine del 2019 nella zona cinese di Wuhan.

Secondo gli esperti della International Committee on Taxonomy of Viruses sarebbe il fratello di quello che nel lontano 2002 diffuse la temibile epidemia di Sars, fortunatamente circoscritta nella sua estensione.

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Il termine Sars è l’acronimo in inglese di sindrome respiratoria acuta grave e non a caso anche il nuovo virus provoca i medesimi problemi sull’organismo umano.

La malattia provocata dal Sars-CoV-2 si chiama Covid-19, dove Co sta per Corona, Vi per virus, D per desease, che in inglese significa malattia, mentre 19 indica l’anno in cui si è manifestato per la prima volta.

Un nome semplice per esorcizzare la paura

L’epidemia in atto, dunque, non è di Coronavirus, ma di Covid-19.

Molti psicologi però concordano sul fatto che gli uomini, anche solo per esorcizzare gli effetti nefasti della malattia, tendono a renderla meno preoccupante attribuendole un nome più comprensibile: ecco spiegato perché si parla di Coronavirus intendendo col termine generale una categoria specifica e persino una malattia.

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Da dove ha avuto inizio il virus

Come si sia generato nessuno ancora lo sa: decine di virologi in tutto il mondo lo stanno studiando. Pare, ma non ci sono conferme ufficiali al riguardo, che sia frutto di un cosiddetto “spill over”, ovvero un salto di specie: che cioè per cause tutte da verificare sia passato da un organismo animale ad un organismo umano, dando il via all’epidemia che sta preoccupando il mondo intero.

Indiziato numero uno è stato per qualche tempo il pangolino, un formichiere a squame simile all’armadillo che vive nell’Asia meridionale e nell’Africa subsahariana.

Poi però l’attenzione degli studiosi si è concentrata sul pipistrello, che in Cina, dove si è sviluppata l’epidemia, viene venduto in moltissimi “wet market”, ovvero mercati umidi dove si vendono animali vivi pronti per essere macellati.

Si pensa che il sangue di un pipistrello malato sia finito sulle mani di un uomo e da lì all’interno del suo organismo, innescando la ricezione delle cellule e provocando la malattia.

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In che modo avviene il contagio

La sua trasmissione avviene nella maggior parte dei casi attraverso la tosse, gli starnuti e le minuscole goccioline che ciascuno di noi produce parlando, ma anche attraverso il contatto diretto delle mani se queste non sono state preventivamente lavate: è per questo che l’unico sistema per arginare la diffusione della malattia è quello di lavorare sull’isolamento degli individui.

Non esiste infatti nessun trattamento medico specifico per guarire le infezioni da Sars-CoV-2 né tantomeno vaccino: chi guarisce, ed è la stragrande maggioranza degli infetti, lo fa spontaneamente.

Secondo i dati ufficiali dell’Organizzazione Mondiale della sanità, i pazienti che non soffrono di altre malattie hanno tassi di guarigione pari al 98,6%: a rischiare di più sono gli ultraottantenni, per i quali il rischio di morte sale al 22%.

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Le strategie fai da te per fronteggiare il contagio da Coronavirus

Nonostante le indicazioni ufficiali fornite ai cittadini dalle autorità sanitarie e da quelle politiche, proliferano le strategie di difesa fai da te: la più diffusa, e inutile al tempo stesso, è la mascherina chirurgica, le cui scorte sono scomparse in tutto il pianeta in poche ore dall’esplosione dell’epidemia.

Essa non previene dal contagio: deve essere usata solo se si ha la certezza di essere positivi al virus o se si sta curando una persona positiva.

Niente baci e abbracci: i saluti alternativi ai tempi del Coronavirus

Addio poi a consolidate abitudini, come le modalità di saluto: niente baci o abbracci, niente strette di mano, semplicemente una rispettosa distanza o, nei casi più curiosi, il “Wuhan shake”, un leggero contatto caviglia contro caviglia giusto per dimostrare intenzioni amichevoli; dall’Iran invece, uno dei Paesi più colpiti, arriva il suggerimento ad accogliere il prossimo voltandogli le spalle, in segno di rispetto (una posizione da cui non si può minacciare alcunché), mentre dall’India giunge forte il consiglio di adottare su scala planetaria il namastè, ovvero congiungere le proprie mani all’altezza del petto accennando un inchino col capo.

Di sicuro da qui alla fine dell’epidemia però se ne vedranno ancora delle belle.

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