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Donatella da 23 anni in Kenya: “Vi racconto la mia vita tra i Masai”

Donatella Crispino - Donamasai Kenya

Donatella da 23 anni in Kenya

Per tutti è ormai è “Donamasai”, dove Dona è il diminutivo di Donatella Crispino. Siciliana, originaria di Siracusa, Donatella decide di trasferirsi in Kenya, più precisamente a Malindi, nel 2000. Lascia un lavoro a tempo indeterminato per inseguire l’amore: quello per John, un masai diventato poi suo marito, e quello per Solomon, suo figlio adottivo, rimasto orfano a soli 9 mesi. A Malindi apre un’agenzia di viaggi con cui aiuta i turisti a conoscere la vera Africa e vivere una vacanza diversa. Unica e con una impronta personale. Nell’aprile del 2021 scopre di avere un cancro e inizia per lei la sua battaglia più difficile. Una battaglia lunga affrontata con il sorriso e con l’ottimismo che da sempre la contraddistingue.

Ecco la sua incredibile storia.

Di Enza Petruzziello

Per tutti ormai è “Donamasai”, dove Dona è il diminutivo di Donatella (Crispino). Siciliana di Siracusa, ex assistente di rete di un’azienda petrolifera, Donatella da 23 anni vive a Malindi ed è di fatto una “masai bianca”. Ha sposato John e adottato Solomon, un ragazzino del suo villaggio nel Masai Mara, rimasto orfano della mamma a soli nove mesi.

La sua passione l’ha spinta molte volte ad esplorare questa terra meravigliosa, compresa la savana, con particolare amore per lo Tsavo East, il più grande parco naturale del Paese ad appena due ore da Malindi. Oggi, insieme a John, organizza non solo safari in tutto il Kenya, ma anche vacanze pensate per chi desidera immergersi nella sua passione e arricchirsi con la sua conoscenza. Il suo approccio diretto, umano e autentico nel ruolo di anfitrione la rende una figura veramente unica.

Come unica è la sua storia, fatta di sfide, di lanci nel vuoto ma anche di battaglie, prima fra tutte quella contro il cancro. A sorprendere di Donatella è il suo profondo ottimismo e l’amore per la vita, oltre che per la sua Africa. Qui si sente a casa, circondata dall’amore della sua famiglia e da tanti turisti e viaggiatori che scelgono di affidarsi a lei per le loro vacanze in Kenya.

Ecco cosa ci ha raccontato.

Donatella partiamo dall’inizio. Quando sei stata la prima volta in Kenya e cosa ti ha spinto a fare un viaggio verso questa terra così lontana e sconosciuta?

«La prima volta che arrivai in Kenya, nell’agosto del 2000, era per un viaggio di piacere. Uno tra i tanti che facevo durante l’anno. Lavoravo, guadagnavo bene ed essendo sola, senza marito o figli, mi piaceva girare e visitare paesi lontani. E viaggiare per andare soprattutto laddove cultura usi e traduzione erano (e sono) decisamente diversi dal nostro modo di essere e vivere. Erano due anni che avevo iniziato a fare qualche viaggio con i miei genitori e la cosa non mi era dispiaciuta affatto. Non erano genitori con mentalità retrograda. Sempre proiettati verso il nuovo e molto aperti, a dispetto di quanti pensano che i siciliani siano chiusi. I miei genitori infatti sono sempre stati grandi viaggiatori ed è da loro che ho appreso la voglia di scoprire e conoscere il mondo. Certamente non ho raggiunto ancora il loro target viaggi. In 55 anni di matrimonio hanno girato quasi tutto il mondo. Forse mancava l’Australia, ma credo che non fosse un paese che li affascinava. E poi erano viaggi da loro pagati, insomma quello in Kenya era per me un viaggio in più che non dispiaceva affatto. Quindi quell’agosto del 2000 decisi di accettare l’invito e partii con loro e i loro amici. Un anno di grande cambiamento».

In che senso?

«Tornai ad ottobre 2000 e a dicembre 2000 mi trasferii definitivamente. Mi presero per pazza, incosciente (lasciare un ottimo lavoro per andare in un paese cosi lontano e diverso dove nulla era certo. E poi… “Chi era questo uomo nero dal vestito rosso e i lunghi capelli intrecciati sulle spalle? Un uomo che ha sempre vissuto in savana cosa ha da spartire con te??, mi dicevano. Non lo sapevo….e non mi feci tutte queste domande. Istintiva fu la decisione e partii. Non sapevo neanche cosa avrei potuto fare. Non avevo di certo la possibilità di lavorare. L’unica soluzione era metter su una attività e quindi fare un grande investimento. E nel 2000 non erano pochi soldini. Lo so…. sono sempre stata fuori dagli schemi, ma allora la mia decisione era ferma. Vado, voglio provarci e se va male…torno ricominciando a mettermi in gioco. Certamente ammetto che probabilmente la sicurezza economica alle spalle mi aiutò a prendere la decisione, ma pensandoci non credo la valutai sul momento.

Che cosa ti ha colpito di questo Paese a tal punto da decidere di trasferirti?

«Mi sono trasferita lasciando tutto ciò che avevo, carriera compresa in una azienda petrolifera. Ho preferito abbandonare la quantità e godere della qualità dell’esistenza. Il clima, la vita semplice, i sorrisi, i colori, gli odori, e non per ultimo l’amore. Nel settembre 2001, infatti, mi sono sposata civilmente con John, Masai cristiano. E ancora oggi, tra liti e arrabbiature, normalissime tra tutte le coppie, sono sposata e vivo con John e mio figlio Solomon, a discapito di chi dice che le coppie miste non durano. Da poco, dopo la morte di mio padre, anche mia mamma fa parte della nostra famiglia “colorata”».

Quello tra te e John è un incontro su cui pochi scommetterebbero. E invece siete felicemente sposati da oltre 22 anni. Come siete riusciti a conciliare le due culture e venirvi incontro?

«È vero, il nostro è un incontro di quelli che solitamente vengono dileggiati e su cui si scommette “dureranno l’arco di una vacanza”. E invece…Non ci credeva neanche Maurizio Costanzo che ci volle intervistare sul palco del suo Maurizio Costanzo Show, e non ci credeva neanche Magalli che ci intervistò nella sua trasmissione del mattino sulla Rai. Ho conosciuto John solo il secondo giorno della mia prima volta in Kenya. Certo, lui non è perfetto, e non lo sono neanche io (forse??!!). Dopo il colpo di fulmine, si è creato un grande affiatamento nel mandare avanti i nostri progetti e la voglia di creare ancora qualcosa ci dà la spinta e la voglia di continuare sempre uniti, tra litigate spesso dovute a dissapori e divergenze sul lavoro. Ma sfido chiunque a dire che non è normale tra una coppia e soprattutto tra una coppia che lavora insieme. Il termine felicemente lo prendo come buono, anche se i dissapori non mancano di certo. Ma tra una lite e l’altra continuiamo ad essere insieme e lavoriamo insieme. Ma in quale famiglia non esistono dissapori e liti? Non credo esista la famiglia del Mulino bianco».

Non solo John. Il Kenya ti ha regalato anche l’amore di un figlio. Ci racconti l’incontro con Solomon e la decisione di adottarlo?

«Era il 2005, Solomon è nato nel villaggio di Amboseli di mio marito. Rimasto orfano a 9 mesi, dopo una lunga malattia per denutrizione la mamma di John decise di prenderlo con sé. Lo conobbi infatti proprio in ospedale, quando andammo a trovare la mamma di John che era a Mombasa nel grande ospedale AGHA KHAN. Quando compresi che quel bimbo era rimasto solo dissi a John di dire a sua mamma di darlo a noi. Lo avremmo adottato e cresciuto noi visto che un figlio non era arrivato. Ci misi quasi due anni per convincerla. Per lei era ormai un figlio e nonostante le difficoltà di vivere in capanna e in savana non voleva lasciare quel bambino al quale oltretutto era riuscita a ridare la vita che stava perdendo anche grazie al suo sangue. Infatti Solomon aveva bisogno di trasfusioni di sangue e il sangue della mamma era lo stesso. Ti do il mio sangue…ora sei mio figlio. Sei sangue del io sangue. È un po’ questa la mentalità africana. Molti hanno anche la convinzione che donare il sangue allunghi la vita al ricevente ma la accorci al donatore. Ecco perché vi è grande difficoltà a trovare sangue in Kenya. Se lo devo dare, ti dicono, mi devi pagare».

Come siete riusciti a convincerla?

«La prendemmo per stanchezza dopo mille richieste e dal 2005 Solomon vive con noi a Malindi. Ho logicamente dovuto seguire l’iter del paese per una regolare adozione. È stata lunga, stancante e costosa, come sempre nel caso delle adozioni, ma alla fine ci sono riuscita. Solomon comunque abitava già con me, volevo definire l’adozione ma nello stesso tempo ero serena visto che il bimbo mi era già stato dato dalla comunità masai regolarmente. Per loro una cerimonia interna vale molto più di uno scritto in tribunale. Insomma oggi ho due masai in casa. Ve la immaginate una casa con due masai e una sicula? Aiutoooooo!».

A proposito di questo, nuovo Paese, nuova cultura e nuove usanze. Come sono stati gli inizi in Kenya?

«Piano piano (anzi “pole pole”) con l’ambientamento e l’aiuto di John, mi sono  inserita nel contesto del paese africano, imparando a rapportarmi con un mondo completamente diverso, ma dal fascino unico. Il mio primo contatto con il mondo lavorativo in Kenya è stato piuttosto pesante: acquistai un locale che comprendeva bar, ristorante e discoteca nella centralissima Lamu Road di Malindi e che teneva impegnatissimi me e mio marito. Poi l’arrivo dei primi amici e i primi safari. Chi meglio di un masai conosce la savana? Ed ecco che mentre John veniva richiesto sempre di più da tutti come guida safari, io restavo al locale a ‘’faticare’’ giorno dopo giorno. Da qui la decisione di cedere l’attività e di aprire l’agenzia che abbiamo chiamato “Donamasai” (unione del mio nome e del fatto che lui sia un masai). Organizziamo quindi safari ed escursioni. Spesso safari personalizzati, un po’ fuori dallo standard del tour operator. Mio marito ritornando a ‘’casa’’, la sua savana, è rifiorito ed io con lui».

Città situata sulla baia omonima nel sud-est del Kenya, circondata da spiagge tropicali, Malindi è famosa per i suoi magnifici paesaggi, la savana, la fauna. Ma come si vive qui?

«Personalmente dico sempre che a Malindi hai tutto e nulla. È il Kenya stesso ad essere un paese dalle mille contraddizioni. Tutto negli ultimi anni è certamente aumentato, come in tutti i paesi del mondo, ma per me rappresenta il posto che al momento non abbandonerei mai. Per svariati motivi. Oltre ad avere ormai la mia vita qui da 23 anni, a Malindi ho un po’ tutto ciò che mi serve, quindi scuole, supermercati, ospedali (di cui non mi lamento affatto). Quello che manca ? I divertimenti di certo. Ma non si può avere tutto e a qualcosa bisogna rinunciare. Niente cinema, teatro, club dove incontrarsi e condividere interessi. Per fortuna io sto spesso con turisti e viaggiatori, quindi non mi manca molto il divertimento. Mi diverto mentre loro fanno vacanza e quindi gioiscono della scoperta di questo affascinante paese».

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Qual è l’iter burocratico da seguire per chi decide di trasferirsi definitivamente in Kenya?

«Un bel dramma. Il paese non permette a un cittadino straniero di lavorare come dipendente in Kenya, tranne casi particolari in cui la qualifica non è facilmente reperibile nel paese. Quindi le soluzioni per trasferirsi sono due: o fare un investimento e quindi portare una bella cifra e aprire una attività, atta a dare anche posti di lavoro, oppure trasferirsi da pensionato. E qui devo dire che personalmente non lo consiglierei di certo. Per restare come pensionato devi pagare e con la quota annuale che daresti al governo puoi ben pagarti un viaggio d’andata e ritorno nel tuo paese natio. Vai, stai lì anche pochi giorni e rientri. E avrai un permesso di altri sei mesi come turista».

Come ci hai detto, insieme a John hai avviato “Donamasai in Kenya”, agenzia di viaggi che propone escursioni e safari personalizzati e tutto ciò che serve per vivere una vera vacanza in questo straordinario Paese. Come è nata l’idea e che servizi offrite?

«Tutto ha avuto inizio quando John incominciò a mostrare la savana ai miei amici che venivano in vacanza ai tempi in cui avevo l’attività di ristorazione. Da li è nata l’idea di metter su una compagnia e aprire una agenzia per safari. Poi allargata a booking office e organizzazione escursioni e transfer. Quindi safari, soprattutto personalizzati , escursioni, transfer e booking office. Aiutiamo il vero viaggiatore a costruire una sorta di pacchetto vacanza per permettergli di vivere il posto fuori dagli schemi del tour operator. E l’idea non è stata cosi cattiva tant’è che è stata subito apprezzata e oggi siamo decisamente conosciuti nel mondo dei safari in Kenya. Ovunque vai Donamasai, per qualcuno Mamamasai e Johnmasai, sono nomi conosciutissimi in zona. John in savana è ricercatissimo in quanto da masai pare abbia una vista molto sviluppata, pensa: riesce a vedere cose che nemmeno una persona con un binocolo vede. Assurdo ma vero e chi è stato con lui in savana può confermarlo. Oggi la stessa cosa sta accadendo con Solomon in quanto avendo finito gli studi scolastici superiori ha già iniziato a portare viaggiatori in savana, affiancato da una guida driver, e sta dando ottimi risultati. Gli apprezzamenti di chi ha avuto lui come guida sono già subito arrivati. E sono tanti. (orgoglio di mamma……eheheheh)».

E fai bene ad essere orgogliosa. Siete molto conosciuti a Malindi, ma soprattutto sul web. Infatti il vostro gruppo su Facebook conta più di 12.000 iscritti. A chi si rivolge Donamasai in Kenya e, viceversa, quali sono i clienti che si rivolgono a te?

«Ci rivolgiamo a quanti desiderano vivere una vacanza diversa. Unica e con una impronta personale, sempre dietro nostro consiglio che conosciamo il territorio. Purtroppo spesso le idee sono tante ma il budget non aiuta e allora si cerca di costruire una vacanza più breve, ma che comunque faccia apprezzare la savana e conoscere il paese nel migliore dei modi. Insomma un po’ una vacanza che riesca a farti venire il famoso mal d’Africa. Ultimamente, specialmente nel post Covid, si rivolgono a noi tante famiglie con minori al seguito e abbiamo regalato emozioni grandiose. Credo che oltre iL 90% abbia voglia di tornare e solitamente riceviamo richieste di famiglie e coppie di amici che desiderano organizzare con noi dopo aver avuto il nostro contatto dall’amico venuto in vacanza e che elogia i nostri servizi. Il famoso fantastico “passaparola” che porta tanti nuovi ospiti».

In Italia a porre un freno alla nascita di nuove attività è spesso una burocrazia lenta. Per non parlare delle tasse troppo alte. In base alla tua esperienza come è la situazione in Kenya? Hai avuto difficoltà ad aprire l’agenzia? E per quanto riguarda i costi?

«In Kenya la burocrazia ultimamente è diventata parecchio complicata ma certamente nulla a che fare con la burocrazia italiana. Specialmente riguardo alla tassazione direi che è quasi inesistente. Ovviamente ci sono le tasse, ma sono molto inferiori rispetto all’Italia. Attenzione, l’apertura dell’attività non è mai complicata….basta avere una compagnia e l’investimento effettuato».

Il Kenya ha molto da offrire. Un solo viaggio non può bastare per scoprirne la diversità. Perché i turisti dovrebbero rivolgervi a voi per una vacanza indimenticabile?

«Cerco tutti i giorni di convincere chi ha interesse a fare il tanto sognato viaggio in Kenya che è il posto dove corpo e mente ne possono ricevere solo vantaggi. Qui la vacanza rigenera. Si ritorna ad assaporare e ad apprezzare i veri valori della vita che purtroppo in Occidente si son persi. Qui spesso senti di persone attempate che dichiarano di sentirsi rinati e di non avere più gli acciacchi che invece nel loro paese lamentavano. Pare che qui anche le minori malattie riescono a sparire dal corpo anziano di chi con una pensione decide venire a svernare. Ed è qui che i giovani mi confessano spesso che la loro vita, di cui in Italia avevano quasi perso il senso, è realmente una vita meravigliosamente comoda. È qui che ci si rende conto che, crisi o non crisi, in fondo e di fondo c’è una reale incapacità di apprezzare ciò che si ha in Occidente. È qui che cuore e occhi cominciano a capire che la vita è una e che va vissuta al meglio. È tutto ciò che quasi giornalmente faccio è proprio confermare e affermare quanto appena detto. E devo dire che in tanti riescono a credermi e si affidano nel farsi portare a spasso tra le vie più vere del Kenya, per vivere appieno la vera Africa. Quella che purtroppo e spesso i turisti non vedono perché rinchiusi negli ovattati villaggi della costa. Splendidi resort, per carità, ma dove spesso si entra e si esce da turisti e non da viaggiatori. Ma per fortuna ultimamente vedo una percentuale maggiore di chi si affida ad un fai da te, per vivere l’Africa».

Negli ultimi due anni hai combattuto una dura battaglia contro il cancro. Due anni di chemioterapia in Italia e durante i quali facevi la sposa tra l’Italia e il Kenya. Innanzitutto come stai adesso e come hai vissuto quei momenti? 

«L’ho scoperto qui in Kenya. Qualcosa non andava: era l’aprile 2021, in piena pandemia. Ho preso un volo e sono andata subito in Italia. A Siracusa mi fu detto immediatamente che non ero ben messa…. Avrebbero fatto una ricerca in laparoscopia e se si poteva operare avrebbero aperto, altrimenti avrei iniziato la chemio per ridurre il problema e poi…..la speranza di guarire. Pensi che io ci abbia creduto? Come sempre da incosciente non ho realmente valutato la gravità del problema. Ho affrontato un’operazione di 8 ore e una chemioterapia di due anni circa. Facevo spola tra l’Italia e il Kenya. Ogni tre mesi di chemioterapia volavo e tornavo in Kenya. Poi 3 settimane di svago a casa in Africa e rientravo per i cicli di chemio successivi. In tanti forse non ci credevano, ma non sono mai stata male. Neanche durante i cicli di chemio. La sera delle infusioni uscivo addirittura subito con gli amici».

Hai deciso di condividere il tuo percorso sui social, perché?

«Sì, ho trascritto tutto il mio percorso, giorno dopo giorno, sulla mia pagina di Facebook. Quasi a voler far partecipi amici e conoscenti di quel che stavo vivendo. Credo inconsciamente per il desiderio di sentirmi dire: “Ce la farai”. Anche se la parola paura per me non è mai esistita. Giuro non credevo che quel maledetto male mi avrebbe abbattuta. Postavo di tutto, persino la mia testa rapata a zero. Dopo la perdita delle prime ciocche decisi di radermi a zero. Mica dovevo vergognarmi? Non era una mia colpa avere il cancro, e quindi non vedevo perché dovevo nascondermi. Oggi ho terminato la chemio da un anno. Vado ogni sei mesi in Italia per i controlli classici tra TAC ed esami del sangue e già per ben due volte l’oncologo mi ha detto: “Torni in Kenya signora e si metta al lavoro e pensi a programmare il mio viaggio vacanza. Verrò presto a trovarla con la mia famiglia. Non so in futuro cosa accadrà….ma so che oggi sto benone e penso che sicuramente non era giunto il mio momento».

Il tuo coraggio e la tua forza, ma soprattutto la tua positività sono da ammirare, davvero! Quali sono i sogni (e progetti) che tu, John e Salomon avete in serbo per il futuro?

«Al momento nulla in particolare. Il sogno di John è di tornare un giorno a vivere ad Amboseli, dove è nato e dove ha vissuto sino a 18 anni, ai piedi del Kilimanjaro. E devo dire che come idea…non mi dispiace affatto».

Un’ultima domanda, come è cambiata la tua vita da quando ti sei trasferita?

«Incasinata dal dover seguire tutto. Dall’organizzazione safari, escursioni, booking e transfer, ma sono contenta. Soddisfatta. Io ferma tanto non ci saprei stare… Quando vado in Italia sono felice, ma dopo una settimana comincio a pensare al rientro e non vedo l’ora arrivi la data per tornare al caldo del paese che mi ospita ormai da 23 anni. In fondo qui in Kenya ormai sono a casa e in Italia, nonostante io abbia ancora interessi vari, ho pochi affetti familiari e amici».

Per contattare Donatella ecco i suoi recapiti:

Facebook: https://www.facebook.com/groups/donamasaifriends/

Instagram: https://www.instagram.com/donamasaikenya

E-mail: tellonia@hotmail.com

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