Così a 20 anni, subito dopo aver terminato gli studi, Donato è partito per gli Stati Uniti, dove ha lavorato per la Walt Disney per circa un anno. Da New York alla Florida, alle Hawaii fino ad arrivare in Nuova Zelanda dove attualmente lavora nel campo dell’Hospitality. Ogni giorno Donato osserva, copia, modifica, esporta e fa sua qualsiasi cosa possa servire al suo futuro, perché “osservare come, un Paese che non sia il tuo, lavora e vive è uno strumento essenziale per crescere mentalmente”.
Donato presentati brevemente:
Ho 20 anni, vengo da Barletta e sono cittadino del mondo. Ho cominciato a viaggiare quasi due anni fa, subito dopo aver conseguito il diploma alberghiero ed è proprio questo ciò di cui mi occupo all’estero: l’Hospitality.
Cosa ti ha portato in Nuova Zelanda?
Sembra un po’ una di quelle circostanze in cui, spinto dalla voglia di viaggiare, metti la benda agli occhi e punti il mappamondo mentre gira velocemente. Tutto, infatti, è stato deciso a caso. Ero tornato da poco a casa dagli Stati Uniti e un mese in Italia è bastato a farmi capire che era tempo di rifare i bagagli e spostarsi per una nuova avventura. E..boom! Nuova Zelanda. Un Paese straordinario, dove prevalgono il verde, le montagne, alcune delle spiagge più belle del mondo e tanti vulcani. Un Paese che andrebbe visitato almeno una volta nella vita.
Da quanto tempo ci vivi?
Da quasi un anno.
Di cosa ti occupi?
Come si chiama in Italia? Ah sì, cameriere. Lavoro in un ristorante rinomato qui ad Auckland. Ho cominciato a lavorarci una settimana dopo essere arrivato in Nuova Zelanda. Faccio questo lavoro per passione. Il contatto giornaliero con la gente è la mia soddisfazione. A differenza degli USA, però, qui si guadagna il necessario per una vita normale, nulla di eccezionale. Inoltre, il lavoro in Nuova Zelanda c’è, ma non abbonda.
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A proposito degli USA, raccontaci qualcosa di quell’esperienza.
In realtà sono stato a New York per vacanza ma ho vissuto ad Orlando, in Florida. Ad essere sincero, solo ora ho realizzato di aver fatto un passo più grande della gamba. Ricordo che volevo trasferirmi a Londra e cominciare una carriera lì. Poi, con un pizzico di fortuna e altrettanto coraggio, gli orizzonti si allargano senza che tu neanche lo chieda. Sono partito nell’ottobre 2012, subito dopo aver terminato la scuola ed aver lavorato in un villaggio turistico in Sardegna per racimolare un po’ di soldi per la partenza. Il costo del volo, purtroppo, è una delle più grandi spese da affrontare e nel corso del tempo ho realizzato che è anche una delle ragioni per la quale molti miei coetanei rimangono incatenati all’Italia. Ma torniamo a noi, son partito per gli Stati Uniti dopo aver stipulato un contratto lavorativo di un anno con una delle compagnie più potenti al mondo: Walt Disney. Ho lavorato in un ristorante italiano all’interno del parco ed è grazie ad esso che son riuscito a sostenere finanziariamente il grande viaggio on the road through USA. Il lavoro del ‘server’ negli Stati Uniti ha apparentemente un riscontro molto più che positivo in termini economici. Gli americani, che d’altra parte hanno la cultura della ‘mancia’, adorano l’italiano “pizza e mandolino”. Un’esperienza che difficilmente dimenticherò: il primo affitto, il primo stipendio ‘vero’, la prima esperienza lontano da casa e..la Florida, the Sunshine State!
Hai solo 20 anni e hai già vissuto delle esperienze che difficilmente i tuoi coetanei si ritrovano a vivere. Cosa ti ha spinto a partire, abbandonandoti alle spalle i timori e i dubbi? Ma soprattutto, quali erano le tue paure iniziali?
Domanda retorica, di questi tempi, mi verrebbe da dire. Ahimè, noi italiani siamo vittima di un sistema disonesto che ci ha tolto e non ha mai ripagato. Ma non sono qui a parlare di politica. Ero semplicemente stanco di una mentalità bigotta e rassegnata che non fa altro che abbattere i sogni di chi sogna. E poi la voglia di scoprire il mondo e mettermi in gioco. Ho sempre voluto sapere fin dove sarei potuto arrivare senza l’aiuto di nessuno. Cominciare da zero ed essere felice anche solo parlando con uno straniero. Paure iniziali? Forse prima di partire per la Nuova Zelanda. Chi non avrebbe paura senza delle certezze come casa e lavoro a 30 ore di volo da casa?
In questi anni all’estero qual è l’esperienza più bella che hai vissuto? E quella che preferiresti dimenticare?
Dalla Florida alle Hawaii sino alla Nuova Zelanda: vivere è l’esperienza più bella che io possa ricordarmi. La sabbia californiana, il tramonto hawaiano, il suono delle trombe a New Orleans, le luci di Las Vegas. Senza dimenticare le risate con i miei amici kiwi (neozelandesi), li adoro. Credo di non voler dimenticare nulla, forse le notti in bianco passate a cercare casa alle 3 del mattino, ma quelle fanno parte del gioco.
Ti manca l’Italia? Cosa in particolar modo? E cosa invece non ti manca affatto?
Mi manca, sì. Mi mancano persino quelle cose che fino a diciotto anni mi sono sembrate così scontate nella vita. Il profumo del ragù la domenica mattina, la città vecchia e stretta, gli ulivi pugliesi, il caffè alle cinque del pomeriggio e i miei amici di sempre. Il fuso orario è una di quelle cose con la quale fare i conti, che tu lo voglia o no. Proprio per questo è sempre più difficile mantenere un rapporto giornaliero, che sia anche su skype. Non mi manca affatto la mentalità italiana. Guardiamo al passato e mai al futuro.Com’è la qualità della vita in Nuova Zelanda?
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Siamo uno dei Paesi con la qualità di vita più alta al mondo. Ciò vuol dire che qui la gente è ‘take it easy’. Non sono frenetici, hanno rispetto del proprio riposo e del lavoro allo stesso tempo, la gente è educata e rispettosa.
Quali sono le difficoltà contro cui ti sei scontrato?
Quando sono arrivato negli Stati Uniti, non ho avuto grandissimi problemi. A dire il vero proprio nessuno. Disney sostiene in propri dipendenti in tutte le necessità, dal lavoro allo svago. In nuova Zelanda è stata dura per le prime due settimane. Casa: belle ma costose, sporche ed economiche. Dopo due settimane di ricerca ho trovato la casa ideale per me. Un altro brutto capitolo è l’accento neozelandese. Ma per fortuna è durato poco.
Qual è il valore aggiunto che può offrire un’esperienza vissuta all’estero? E quali invece gli aspetti negativi?
Osservare come, un Paese che non sia il tuo, lavora e vive è uno strumento essenziale per crescere mentalmente. Ogni giorno osservo, copio, modifico, esporto e faccio mia qualsiasi cosa possa servire al mio futuro. Approcciare la novità e il diverso è un modo per crescere. Non credo che esistano aspetti negativi e se ci sono, sono di poca importanza.
Cosa consiglieresti ai tuoi coetanei?
Penso che tutto sta ad affrontare il passo iniziale, poi viene tutto naturale come nel corso di un fiume. Gli americani sono soliti usare l’acronimo Y.O.L.O ovvero You Only Live Once. Cosa aspettate a partire!?!?!!?
In questi anni in cosa ti ha cambiato vivere all’estero?
Non sono più la persona di qualche hanno fa. A cominciare dai rapporti con la mia famiglia: la distanza è genuina. Siamo più legati di prima e ho imparato a dire ‘grazie’. Ora il pane a casa non è più gratuito. Ho cambiato il modo di vedere l’Italia. La vedo da turista e quindi: LA AMO.
Quali sono i tuoi progetti futuri?
Conto di tornare negli Stati Uniti, lavorare duro e cominciare a pensare ad un possibile corso di studi, ma i costi lì sono quel che sono, vedremo. L’Italia per il momento non rientra nei miei piani.
A cura di Nicole Cascione