Epidemie nella storia
Di Gianluca Ricci
Da quando ha avuto coscienza di sé, l’essere umano ha provato a diventare il signore incontrastato del pianeta che lo ospita, scalando di specie in specie fino ad issarsi in cima alla scala evolutiva. Giunto a quel punto ha creduto di essere onnipotente e si è dato da fare per plasmare il mondo secondo gusti e bisogni, supponendo di non dover più rendere conto di nulla a nessuno.
E invece: invece miliardi di esseri minuscoli, microscopici, invisibili hanno tentato più e più volte di atterrarlo, o quanto meno di restituire le giuste proporzioni fra le creature della Terra.
Assalti ciclici, durante i quali gli esseri umani hanno subito vittime a centinaia di migliaia. Virus e batteri, forti della loro invisibilità, hanno opposto allo strapotere dell’uomo una resistenza straordinaria, mettendo a dura prova le sue strategie di difesa.
Soggiogati gli elefanti, quasi estinte le balene, ridotti all’impotenza persino leoni e pantere, gli esseri umani si sono trovati continuamente in difficoltà con le forme di vita più piccole, ma al tempo stesso più letali esistenti.
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La prima pandemia: la peste del Peloponneso
E così, ciclicamente, anche dopo che i progressi scientifici sembrava avessero elaborato sistemi difensivi a prova di bomba, eccoci a rendere conto dell’ennesima pandemia.
La più nota, quella di cui abbiamo le prime testimonianze certe, fu l’epidemia di peste che durante la Guerra del Peloponneso, nel V secolo a.C., si diffuse in tutto il Mediterraneo orientale, trasferita dai topi agli uomini per opera delle pulci e dei loro morsi: oggi, anche se quasi del tutto debellata, si può combattere con gli antibiotici, ma per secoli e secoli ha rappresentato un autentico spauracchio per tutte le comunità umane, totalmente indifese contro la diffusione del morbo.
Ciclicamente compariva ora qua, ora là a mietere vittime e pompare adrenalina nelle vene dei sopravvissuti: dalla peste bubbonica di Giustiniano alla peste nera che nel Trecento falcidiò milioni di individui in tutta Europa, la storia dell’uomo è stata scandita inesorabilmente dall’esplosione delle epidemie di malattie fino a poco tempo fa assolutamente incurabili, e dunque ancora più ineluttabili.
Per non parlare delle pandemie di vaiolo e colera, che alternandosi alle precedenti contribuivano non poco a ingenerare negli individui quel senso di precarietà che la conquista del gradino più alto della scala evolutiva non è più riuscito a smorzare.
Anche le influenze virali hanno avuto un ruolo di primo piano in questa triste storia all’insegna della ciclicità, soprattutto negli ultimi secoli, quando le possibilità di lasciare il racconto diretto degli eventi è cresciuta e dunque i discendenti dei testimoni hanno potuto avere notizie dettagliate su ogni specifica malattia.
Dalla Spagnola all’Asiatica fino alla Sars: i virus del XX secolo
È stato nel XX secolo che la loro proliferazione si è intensificata a causa dello sviluppo dei mezzi di trasporto, che insieme agli uomini hanno iniziato a trasferire da un continente all’altro anche i virus: la madre di tutte le pandemie moderne è stata la cosiddetta Spagnola, sviluppatasi tra il 1918 e il 1920, che infettò circa mezzo miliardo di persone, dalle isole dell’Oceano Pacifico al Mar Glaciale Artico, e ne uccise 50 milioni.
A contribuire alla sua letalità erano state le precarie condizioni igieniche in cui l’umanità si era venuta a trovare alla fine della prima guerra mondiale e, nonostante la quarantena anche a quei tempi, nulla fu possibile fare per arginare la sua incredibile virulenza.
L’ennesimo evento catastrofico che si è manifestato all’uomo per inchiodarlo alla sua vulnerabilità.
E poi c’è stata l’Asiatica, nel 1957, altro virus dalla potenza dirompente che prima di essere depotenziato dalla scoperta di un vaccino riuscì ad uccidere oltre due milioni di persone in tutto il mondo.
Per non parlare dell’influenza di Hong Kong, una specie di Aviaria comunque simile all’Asiatica che tra il 1968 e il 1969 sterminò altri due milioni di individui.
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Nel nuovo millennio siamo già alla terza epidemia, a testimonianza della fragilità della posizione dell’uomo di fronte alla potenza della natura: nel 2003 a svilupparsi fu la cosiddetta Sars, sindrome respiratoria acuta grave, un po’ l’antesignana dell’attuale Covid-19, che però si riuscì a contenere grazie a misure di emergenza straordinarie, evitando che mietesse il consueto numero di vittime; sei anni dopo è stata la volta della cosiddetta “suina”, la cui forza letale fu però di modesta portata.
Il ruolo dell’informazione
A portarla alla ribalta è stato però il sistema dell’informazione, che nel frattempo si è sviluppato ed è diventato centrale per la vita delle persone: ecco perché, allo scoppio di ogni focolaio, l’attenzione diventa subito altissima indipendentemente dalla effettiva portata della notizia.
Trattandosi di malattie, i mezzi di informazione lavorano al massimo della potenza, ingenerando così nella pubblica opinione un’inquietudine di fondo che, anziché trasformarsi in vaccino contro le cattive notizie, si fa trampolino per paura e agitazione.
Un esempio evidente lo abbiamo avuto in occasione dello scoppio della pandemia del Coronavirus – Covid-19: a causa del frenetico susseguirsi delle notizie, nessuno ha potuto filtrare ciò che veniva divulgato, con la conseguenza che per giorni la gente non è riuscita a capire cosa stesse accadendo davvero.
E ancora oggi, forse si è capito poco, se non che, per evitare guai seri, l’unica strategia valida rimane quella che la natura ha dettato ai primi ominidi: isolarsi, evitare contatti, ridimensionare ambizioni e presunzione.
Magari, alla fine, si scoprirà che sarà questa l’unica cosa per cui è valsa la pena combattere.
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