Vediamo chi ha il coraggio di leggerlo tutto
E' il racconto di un particolare momento che ho vissuto a ottobre 2008, spero di non farVi addormentare …..
La sensazione è la stessa di ieri, mi alzo stanco dal letto e come un automa che si porta a fatica, strisciando le ciabatte mi dirigo verso il bagno. Appoggiato con le mani sul lavabo fisso le rughette infide, le occhiaie sgradevoli e quello sguardo spento classico di una persona eternamente stanca, oltre al pallore classico del fumatore incallito, non vedo altro.
E’ domenica, malgrado vorrei istintivamente tornare in letargo sotto le lenzuola, ho ancora quel residuo di stimolo che mi spinge a vestirmi per la gara. Grande passione maturata negli anni, motivo principale di affermazione personale e di sano svago. Sport allo stato puro, ambìto, desiderato tutta la settimana quasi come un bimbo in attesa del dì di festa.
Ma sono ancora lì immobile, a guardarmi con poca voglia di radermi e lavarmi. Fermo come fossi incollato al mio stesso sguardo costantemente triste e neutro.
Non è sforzo da poco essere pronto in 30 minuti e partire per la zona di gara. Tutti presenti gli immancabili amici di sempre, ancora prima di posteggiare l’auto mi salutano gioiosi e scherzosi. Poveri illusi, allegri del niente, stolti, ignoranti.
Come da previsione la gara è un disastro, il nervoso per la mancanza di concentrazione mi ha gonfiato il fegato. Non ho altra meta e desiderio che sedermi a tavola in quell’accogliente taverna dal caratteristico soffitto in legno. Mi circondano rumore, scherno, contentezza, con un finto sorriso a mezza bocca, sorseggio golosamente un amabile vino rosso.
E’ mezzanotte ormai, dei numerosi commensali non restiamo che in quattro superstiti. I temi sono più seri, ora, ma sempre orientati alla giornata sportiva. Impassibile osservo con finta attenzione le loro bocche che parlano ancora motivate.
Ciao ragazzi, vado.
Senza attendere oltre mi alzo quasi di scatto, barcollando per quei bicchieri di troppo mi accosto all’uscita. Un freddo vento colpisce il viso svegliandomi dal torpore. Il dado è tratto, con serena andatura voglio partire per migliori lidi.
Quanto ho sognato questo momento, ho guidato tutta la notte ed eccomi all’alba nella ridente Val di Fassa in Trentino.
Solo ora mi rendo conto di ritrovarmi a cinque ore da casa mia, vestito in tuta sportiva, sporco e puzzolente per lo sforzo sportivo del giorno prima e senza null’altro che la mia carta di credito ed un pacchetto di sigarette.
Il telefonino l’ho spento la sera prima, niente deve inserirsi fra me e ciò che mi aspetta. Stranamente sereno mi adopero per vestirmi in modo consono, visito un paio di negozi ed eccomi presentabile per l’albergo che avevo addocchiato entrando nel paese di Canazei. Una signora dall’età indefinibile mi accoglie con relativa freddezza, la stagione e quasi finita, capisco la stanchezza interiore di questa gente che ha dovuto sopportare turisti di tutte le risme, senza indugiare chiedo una stanza ed dopo qualche minuto mi ritrovo sdraiato sul un letto profumato ad osservare il soffitto. Ed ora che faccio?
Mi sono ripromesso di spegnere quella parte di cervello che mi tiene legato alla famiglia, al lavoro, agli amici. Con lo sguardo al soffitto mi rendo conto che non rimane molto da pensare, mi addormento quasi subito senza rendermene conto.
Il rumore di un pullman dalla strada sottostante mi risveglia bruscamente, intorpidito dalla precedente notte anomala, fatico a muovermi, l’orologio indica che è pomeriggio inoltrato.
Ho sempre parlato molto con me stesso, forse mai profondamente, ma ho una certa abitudine nell’interrogarmi. Ora sono qui, intenzionalmente, occasione forse unica per gustarmi la solitudine relativa, quel distacco dagli affetti, dagli impegni e da tutto ciò che è quotidiano.
Una doccia bollente mi risveglia infondendomi quel senso di piacevole calore nelle ossa. La camera è molto accogliente, ma solo per il fatto che è fatta di muri, soffitto e pavimento, mantiene quella forma di sicurezza istintiva derivante dal senso protettivo della caverna dei nostri avi. Questa riflessione mi spinge a vestire con impeto per uscire in cerca di nuovi stimoli.
Passeggio mani in tasca per le vie dell’accogliente Canazei, un negozio espone cartine della zona, sono tracciati tutti i sentieri più frequentati, ecco come dedicherò il tempo necessario alla "disintossicazione", camminerò tanto per farlo, guardando e godendo le bellezze naturali.
Preso da questa nuova intenzione, mi appresto allo studio della cartina seduto su una panchina in legno incisa di fiori e figure di animali. Non conosco questi posti, non so dove sono né perché sono qui, ma voglio approfittarne.
Tornato in albergo ho solo il tempo per un’altra doccia bollente per poi potere gustare le specialità locali.
Stanza 304 signora, dove posso accomodarmi per la cena? Vengo subito accompagnato in una saletta interna e fatto accomodare nell’unico tavolino per singoli. L’imbarazzo iniziale è il sentirmi addosso gli occhi degli altri commensali, famiglie o coppie che parlottando cercano giustificazione per una persona ancora giovane e dall’aspetto distinto, seduta sola mentre con occhi seri analizza le particolarità di quel locale caratteristico, cercando di non incrociare gli sguardi curiosi. Non è un albergo per viaggiatori, né io ho il comportamento da rappresentante. Questa constatazione mi fa agire nel modo più sciocco, come ad esempio leggere con attenzione quanto scritto sulla busta dei grissini torinesi e sull’etichetta della bottiglia dell’acqua.
Intenzionalmente svuotato dai pensieri logistici, quando ormai vedo scemata la curiosità dei diversi volti, inizio con la coda dell’occhio ad analizzare ogni tavolata. Mi diverte supporre il motivo della loro presenza. Quella giovane famiglia, lei molto grassa, con una vivace bimba di pochi anni, non può essere qui per salite alpinistiche e neppure per lunghe passeggiate. Immagino i nonni qualche giorno prima consigliare i ragazzi di portare la bimba in montagna perché "c’è l’aria buona" e loro, annoiatissimi, ora sopportano la settimana regalata per il bene della figlioletta affogandosi nel cibo, unico momento piacevole della giornata.
Quell’austriaco del tavolo di fronte, anche non avesse parlato avrei riconosciuto le origini sue e della moglie, il viso ed il fisico sono una identificazione chiara per certi popoli; è quasi divertito quando fatica ad intendersi con la cameriera Italiana di origini meridionali perché gesticolando con discrezione ha modo di esprimere sillabando il poco Italiano che conosce.
Realtà, vite, ognuna apparentemente anonima ma sicuramente fatta di tanto ed io sono fra queste entità.
L’ultimo sorso all’immancabile grappa mi consente di alzarmi per andare in camera. Buona sera signori …. un vociare tra saluto e sorpresa mi accompagna mentre esco dal locale.
E’ l’alba, le prime luci del giorno entrano timide dalla finestra, indossato un buon completo da trekking acquistato la sera prima, eccomi perfettamente inserito nell’atmosfera del camminatore. Con l’auto raggiungo il passo Pordoi, l’aria è penetrante, d’altra parte è molto presto. D’istinto mi infilo in uno dei due bar presenti al passo. Un buon caldo caffè non può che darmi ulteriore stimolo, provo ad abbozzare le mie intenzioni alla signora dedita al bancone, ma capisco subito che il suo rispondere è abituale, annoiato, poche parole di commenti sui percorsi ripetute mille volte, lei vorrebbe che parlassi di mare, di sabbia calda, di discoteca. Quasi come per rispetto, mi zittisco abbassando gli occhi per concentrarmi sulla tazza.
Il passo è a 2200 metri di quota, ad ottobre di prima mattina fa veramente freddo, stringo i bastoncini avviandomi per la mulattiera che mi porterà dove voglio, verso quell’evidente canalone di ghiaia che molto più in alto si inserisce fra due enormi pareti di rocciosa dolomia. La salita si sviluppa in un colatoio di pietre, miliardi di piccole pietre che nei millenni si sono staccate rovinando a valle. Un continuo zigzagare di sentiero gradualmente sempre più ripido e meno evidente. Ora che sono più vicino l’immagine di queste imponenti pareti mi mette soggezione, proseguo lentamente, non ho fretta, cerco di cogliere ogni sensazione che mi tocchi l’animo. Raggiunto il colletto ho qualche problema nel proseguire per la destinazione scelta, la punta Buè. Una recente nevicata, gelata dalla fredda notte, rende il percorso infido e pericoloso senza la giusta attrezzatura, perché sto camminando con delle adidas da corsa, non mi resta che sedermi ad ammirare il panorama in attesa che i raggi del sole rendano molle e calpestabile quella lingua di neve che dovrò oltrepassare.
Silenzio.
Profumo di roccia.
Vento freddo.
Mille pensieri mi si insinuano durante quella sosta forzata, guardo in basso scorgendo le minuscole abitazioni sparse nella valle, poi lentamente, alzando lo sguardo, ammiro i monti di fronte dei quali non conosco il nome, per poi andare oltre, alla catena montuosa appena dietro e poi ancora a quell’altra fino ad arrivare con l’immaginazione alle mie montagne, quelle di casa mia. Subito una forte commozione mi blocca il respiro, senza volerlo, senza esserne pronto, inizio a lacrimare. Trovo piacevole sentire quella leggera pressione all’altezza dello sterno, i singhiozzi che man mano si fanno più violenti per poi lasciarmi andare in un pianto aperto, libero, li sento come fratelli in aiuto.
Sono solo, a 3000 metri di quota, in mezzo al niente, lontano centinaia di chilometri da casa e sto piangendo come un bambino.
La serenità del sentire scemare lentamente un atavica tensione interna, quel cercare di amplificare l’emozione del pianto tramite ricordi famigliari, visi amati, mi fa sentire meno solo. So di essere con me stesso.
Come una luce che mi si avvicina, inizio a vedere un percorso nuovo.
Mai provata un emozione così intensa, così naturale, senza surrogati esterni. Le lacrime diventano incontrollabili, non faccio niente per limitarle. Grido molto forte, un urlo, non di dolore, neanche di richiamo. Un urlo di liberazione come se tramite i polmoni emettessi gran parte del nero che sento dentro. Erano anni che non urlavo così forte, erano anni che non piangevo così tanto.
Avrei voluto quel mio momento per sempre.
...... segue