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Giulia, “Mi sono trasferita a Montreal da sola e, fra mille difficoltà, ho ottenuto la vita che ho sempre sognato”

Giulia Verticchio Montreal

Giulia: mi sono trasferita a Montreal

A cura di Maricla Pannocchia

Originaria di Roma, Giulia ha portato avanti un percorso accademico e uno professionale che non definisce proprio paralleli ma che, dopo due esperienze di studio all’estero – una in Francia e l’altra in Inghilterra – che le hanno permesso d’imparare bene sia il francese sia l’inglese, l’hanno portata a vivere a Montreal, dove lavora come giornalista e insegnante.

Le difficoltà ci sono state, soprattutto all’inizio. “Il percorso d’immigrazione è lungo e complicato. Servono tempo, soldi e pazienza. Per ottenere un permesso di studio bisogna farsi ammettere dall’istituzione scolastica o universitaria e fare domanda al provinciale (Québec) e, poi, al federale (Canada). Per immigrare come lavoratore bisogna essere selezionati dal Québec in una lista di attesa di categorie professionali. A seconda delle necessità della provincia e del tetto massimo stabilito ogni anno, si viene accettati” racconta Giulia che, oltre ad aver avuto delle difficoltà con la radio che si era offerta per sponsorizzarla, a volte si è sentita poco accolta durante il percorso universitario.

Nonostante questo e i cambiamenti, non proprio positivi, avvenuti negli ultimi anni a Montreal è felice delle scelte fatte, del coraggio, dell’essersi messa in gioco da sola e dell’essere riuscita a vivere la vita che sognava e che ancora la rende felice. Fra i suoi progetti, c’è quello di ricominciare a viaggiare. “Tra i 20 e i 30 anni ho viaggiato tantissimo, poi, da quando sono qui, ho fatto più che altro sempre Canada Atlantico e Italia. Bellissimo, ma forse è ora di ricominciare a vedere altro nel mondo” conclude Giulia.

Ciao Giulia, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

Ciao a tutti, mi chiamo Giulia, sono nata a cresciuta a Roma Nord, sono mezza abruzzese (da parte di papà) e mi sono laureata all’Università di Roma Tre (a Roma Sud) e poi all’Université du Québec à Montréal (UQAM). Accademicamente, ho fatto il percorso di studi sulle materie che amavo, quindi beni culturali e paesaggistici, patrimonio artistico, storia dell’architettura e dell’urbanistica e valorizzazione del territorio. Professionalmente, mi sono sempre indirizzata soprattutto verso i mestieri della comunicazione, dell’editoria, del giornalismo, della radio, perché mi piace argomentare e informare e, come indole, ho sempre avuto una forte curiosità per le lingue straniere e per certi Paesi all’estero. Il mio percorso è stato apparentemente poco lineare e un po’ confuso ma poi mi è andata bene perché tutto è confluito dove doveva e come poteva.

Quando e perché hai deciso di lasciare l’Italia?

La prima esperienza all’estero, nel 2011, è stata semplicemente quella dell’Erasmus (una borsa di studio europea che si ottiene con una buona media dei voti agli esami), quindi ho passato un semestre in Francia, all’Université d’Angers. Non sapevo il francese, l’ho studiato un po’ prima di partire ma il primo mese è stata durissima, non capivo niente e mi sono sentita molto isolata. Quando sono venuta via da lì, 6 mesi dopo, ero bilingue. Dovevo dare minimo 5 esami, ne ho dati 7. Mi sembrava che sarei stata sola tutto il semestre, poi ho fatto delle amicizie pazzesche e sono sempre andata in giro divertendomi. Da lì è cambiato tutto. Ho capito che potevo fare molte cose. L’anno dopo, nel 2012, sono andata a fare un’esperienza di studio in Inghilterra, a Bristol. A quel punto, sono diventata trilingue. Ho sempre scelto cittadine a un paio d’ore dalle capitali e non le capitali perché l’anima vera di un Paese non è mai lì. Parigi e Londra sono meravigliose e m’incantano sempre ma sono metropoli piene di gente che viene da altri posti e, come qualità di vita, credo che il compromesso sia un po’ alienante. Sono state comunque esperienze temporanee e poi tornavo sempre in Italia. Non avevo una chiara idea riguardo all’espatriare.

Ora abiti a Montreal. Come mai hai deciso di trasferirti proprio lì? C’eri già stata prima?

Delle amiche che erano state in Canada me ne parlavano benissimo, come di un Paese tranquillo e sereno ma anche frizzante, meritocratico e pieno di opportunità. Mi attirava Montreal perché bilingue, visto che parlavo anche francese, e ci tenevo. Inoltre, rispetto ad altre città, era più vicina all’Italia, con il volo diretto con Roma.

Ho fatto domanda per il Working Holiday Visa (Permis Vacance Travail) dell’ambasciata canadese. Lì per lì erano finiti i posti poi qualcuno deve essersi perso per strada con le procedure da seguire per il visto e mi è arrivata comunicazione che ero stata ripescata nella graduatoria perché si era liberato un posto. Era un periodo bruttino per me. Dovevo mettere un punto a una relazione che era stata bellissima ma non lo era più e altre situazioni personali nell’ambito dell’amicizia mi avevano fatto molto male. La possibilità della partenza sembrava arrivare al momento giusto. Sono andata prima in avanscoperta nell’inverno 2014 e ho fatto un colloquio all’Istituto Italiano di Cultura per uno stage. Mi hanno presa. Sono tornata nella primavera 2015, rientrando nel Paese attivando il work permit. Dovevo stare 6 mesi, sono 9 anni che vivo qui. È stata la cosa migliore che ho fatto in vita mia.

Quali sono, secondo te, i pro e i contro del vivere lì?

Mi ha colpito la serenità sociale e l’attitudine costruttiva, volenterosa, garbata e positiva delle persone. Tutti si danno daffare, poi si godono il tempo libero. Si giudica poco, si discute poco. Adesso in Italia mi sembrano quasi tutti un po’ frustrati e isterici, fondamentalmente insoddisfatti della vita, e molto problematici dal punto di vista emotivo. Di contro, qui mancano più spontaneità e improvvisazione e, forse, una sincerità più verace. E poi l’inverno è lungo… il problema non sono tanto dicembre e gennaio, quando la neve te l’aspetti ed è anche magica. Il problema è il periodo di marzo-aprile, mesi ancora grigi e freddi mentre nell’Europa mediterranea è già primavera. E poi sicuramente il cibo. Io, a volte, quando mangio in Italia, mi commuovo, sia a livello di quello che si compra al supermercato sia di quello che si trova al ristorante. Il paragone con il cibo canadese è impietoso.

Come descriveresti Montreal a chi non c’è mai stato?

Una via di mezzo tra New York e Parigi. Una grande metropoli nordamericana che ti fa sentire al centro del mondo e dell’azione ma anche con angoli molto europei e latini, con quartieri a misura d’uomo. Dal punto di vista architettonico è molto diversificata. Dai grattacieli di downtown alle costruzioni basse di mattoni del centro storico ai duplex e triplex delle altre zone residenziali, sembra quasi di essere in città diverse. Montreal è poi un’enorme isola fluviale, quindi, il fiume Saint Laurent è un grande protagonista e ci sono molte spiagge, parchi e waterfronts. Essendo un’amante del mare fin da piccola, soffro un po’ la lontananza dalla costa marina, ma l’elemento dell’acqua comunque c’è e credo faccia una differenza. Altre metropoli le trovo più claustrofobiche.

Hai visto dei cambiamenti, sia positivi sia negativi, da quando sei arrivata lì a ora?

Sinceramente sì e purtroppo negativi. Quando sono arrivata il Canada era un enorme Svizzera e Montreal era una bomboniera di vivibilità. Da dopo la pandemia la società è cambiata, si sono formate molte sacche di povertà estrema, è arrivata la droga, gli homeless (clochards) si sono moltiplicati, così come i tossici. Quando sono arrivata io la vita costava meno, le tasse erano più basse, non c’era traffico, le strade erano più sicure, nessuno chiedeva l’elemosina per strada e si trovava parcheggio senza problemi. Il Canada veniva da 9 anni di governo di Stephen Harper e Montreal da 4 anni di Denis Coderre come sindaco. Si stava bene. Adesso, dopo 9 anni di governo di Justin Trudeau, la spesa pubblica è esplosa e le tasse anche e, dopo 7 anni come sindaca al Comune di Montreal, Valérie Plante ha reso questa città molto più cara e invivibile (praticamente quasi come una città europea), facendo un po’ di guerra agli automobilisti.

Di cosa ti occupi?

Sono giornalista e insegnante. Scrivo come penna fissa di redazione per il giornale settimanale italiano di Montreal e lavoro come voce fissa per la radio italiana di Montreal. Ho insegnato lingua e cultura italiana a bambini e adulti per anni, al momento non lo sto facendo più, ma appena altre cose in famiglia si calmeranno troverò il tempo di ricominciare anche quello. Quando capita, lavoro anche alle fiere o ai congressi di Montreal, dove c’è una rappresentanza italiana, e mi chiamano per collaborare.

È facile, per un italiano, trovare lavoro lì?

Partiamo dal presupposto che non è mai facile niente, per nessuno, da nessuna parte. Bisogna fare le cose per bene. Comportarsi bene. Alcuni italiani qui hanno fatto un casino e se ne sono andati con la coda tra le gambe, tanti altri hanno realizzato l’impensabile. Il lavoro c’è. È procurarsi un permesso di lavoro che è difficile.

Quali sono i settori in cui è più semplice essere assunti?

Sicuramente settore aeronautico, informatica, tecnologia, video games, Intelligenza Artificiale, effetti speciali ma anche costruzioni, edilizia, ingegneria, ristorazione, industria del legname, agricoltura, pesca e trasformazione alimentare. Mancano medici e infermieri, il Québec ne è in grave deficit, ma non direi che è semplice per uno straniero essere assunto, a causa del riconoscimento del titolo professionale acquisito all’estero, e poi spesso non saper parlare entrambe le lingue è un ostacolo. È importante, per ovvie ragioni, che il personale sanitario sia in grado d’interagire con i pazienti sia in inglese sia in francese.

Pensi che gli stipendi siano in linea con il costo della vita?

Lo erano assolutamente fino a un paio di anni fa, ora lo sono sempre meno. Comunque, il salario minimo in Québec è appena stato aumentato (il 1 maggio 2024) e ora è a 15 dollari l’ora.

Puoi dirci il costo di alcuni beni e servizi di uso comune?

L’inflazione alimentare è esplosa, distaccata dall’economia reale e dalle vere ragioni di approvvigionamento che possono esserci o meno. Carne, pesce, frutta e verdura adesso sono cari. Mangiare sano costa. La benzina, invece, è una risorsa a basso costo. Il Canada è ricco di petrolio e non deve stringere accordi con Paesi soggetti a conflitti, quindi, sente meno le ritorsioni delle varie ripicche internazionali.

Cosa bisogna avere, dal punto di vista burocratico, per vivere e lavorare lì?

Il percorso d’immigrazione è lungo e complicato. Servono tempo, soldi e pazienza. Per ottenere un permesso di studio bisogna farsi ammettere dall’istituzione scolastica o universitaria e fare domanda al provinciale (Québec) e, poi, al federale (Canada). Per immigrare come lavoratore bisogna essere selezionati dal Québec in una lista di attesa di categorie professionali. A seconda delle necessità della provincia e del tetto massimo stabilito ogni anno, si viene accettati. Comunque tutto passa su due livelli. I permessi di lavoro sono sempre inizialmente temporanei o chiusi a un unico datore di lavoro (lo sponsor), che diventa un po’ il “padrone”, per così dire, dell’immigrato. O lavori lì o te ne vai. Il permesso di lavoro post lauream (come il mio prima di diventare residente permanente), dà molta più libertà. Anche la residenza permanente si fa sudare.

Come ti sei mossa per cercare un alloggio?

Inizialmente ho cercato sui siti web dei piccoli studio già ammobiliati a formula tutto incluso. Il primo posto dove sono finita però era fatiscente e al di là di ogni estremo spirito di adattamento. Di fronte al mio sgomento, gli stessi proprietari mi hanno portata in un altro studio, un po’ meglio, che affittavano ed era disponibile. Quella doveva essere la mia sistemazione temporanea, invece l’ho amata, ci sono rimasta a vivere per 8 anni.

Quali sono i prezzi medi e le zone in cui, secondo te, è possibile vivere bene spendendo il giusto?

Evitando il downtown, Westmount e Outremont, e forse il Plateau Mont-Royal, che sono i quartieri più intoccabili, il resto è fattibile. Al momento, Montreal soffre di una crisi abitativa. Ci sono poche case e tanta domanda non sorretta dall’offerta. I proprietari hanno il coltello dalla parte del manico e gli affitti sono saliti. È difficilissimo, ormai, trovare qualcosa di decente a meno di 1000 dollari il mese.

Come sei stata accolta dalla gente del posto?

Sono stata accolta sempre bene da tutti, tranne che all’università. Se fossi andata in un’università anglofona questo problema non ci sarebbe stato. Concordia e McGill sono piene di stranieri e gli studenti sono considerati tutti uguali. L’università pubblica quebecchese francofona dove sono andata io è piena di stranieri a sua volta ma la verità è che io in classe ero spesso l’unica non quebecchese e non francofona e a volte il mio essere italiana è stato strumentalizzato. Per poco un professore non mi rubava 300 pagine di tesi per pubblicarle lui e non farmi laureare. Mi sono dovuta rivolgere ai legali accademici, all’Ombudsman, ai rappresentanti degli studenti, ho chiesto aiuto a tutti. Alla fine l’ho spuntata io ma non è stata un’esperienza felice.

Come descriveresti le loro vite?

A parte gli accademici…! In generale direi che quasi tutti sentono di fare quello che volevano fare e sono grati della loro condizione. Sono grandi lavoratori ma anche molto sportivi, amanti della natura e il tempo libero è sacro.

Com’è una tua giornata tipo?

La mattina faccio delle interviste e scrivo dei pezzi per il giornale, oppure vado a fare nuoto libero in piscina. Il pomeriggio ho il turno alla radio per i notiziari (newscast). La sera ceno fuori con gli amici o andiamo a casa di qualcuno. Se c’è qualche evento da qualche parte, andiamo lì. A volte nel week-end cerco di riposare perché durante la settimana sto poco a casa, anche di sera. D’inverno mi piace stare un po’ ferma il sabato e riposare a casa, in pace, da sola, però a volte andiamo a pattinare sul ghiaccio nel bosco oppure a sciare nei dintorni. D’estate, se c’è il sole, stare in casa è difficile, andiamo al parco e al lago. Mi piace molto andare in bici fino al porto e stare verso l’acqua…

Quali sono state le principali difficoltà da affrontare e come le hai superate?

La prima sberla è stata quando, allo scadere del mio work permit temporaneo nell’ottobre del 2015, il direttore della radio provò a farmi sponsorizzare (e per questo gli sarò sempre grata), ma l’head office del broadcast group da Toronto mi negò la sponsorship, praticamente dicendo, “Troppo complicato, assumiamo un canadese e basta”. In più, anni prima avevano già sponsorizzato 2 italiani con i quali c’era un processo in corso e un’azienda che ha cavilli legali con ex sponsorizzati non può sponsorizzarne altri. Mi sono sentita strappata dal mio posto nel mondo. Mi ero un pochino fissata e quindi ho tentato la via dell’ammissione all’università. Lì ho preso altre sberle ma tutto è stato estremamente stimolante e istruttivo. Sinceramente, sono sempre stata paziente verso i miei limiti. So benissimo che non sono bravissima in delle cose ma a volte insisto lo stesso. Come studiare e lavorare insieme, imparare le lingue. Forse sono meno intelligente di altri ma ho avuto più forza di volontà. Comunque, ho avuto una tenacia e un’energia, una caparbietà, che oggi non riavrei assolutamente. Veramente queste grandi fatiche di Ercole vanno fatte da più giovani possibile.

E quali, invece, le gioie e le soddisfazioni?

Tante, totali. Sicuramente in tanti emigrano e fa bene a tutti. Molti lo fanno per seguire un partner e, quindi, non esplorano mai solitudine e perdizione, la paura data dal fatto che, qualunque cosa ti succeda, sai di non avere proprio nessuno, oppure mandati da un’azienda in espansione, quindi non devono cercarsi lavoro, bussare alle porte, dimostrare e farsi i documenti d’immigrazione da soli. Ammetto di provare una certa soddisfazioneper i miei sforzi e il mio percorso un po’ maldestro ma libero. Ho sviluppato la migliore versione possibile di me stessa, faccio il lavoro che ho sempre sognato di fare, ho dei carissimi colleghi che sono amici e ho delle amicizie che sono la famiglia che mi sono scelta. Persone sempre presenti nel momento del bisogno e della difficoltà e sinceramente felici per me. Sono a mio agio, mi diverto e mi rilasso, ma è sempre in un contesto di qualità. Sono persone con cui c’è stima, rispetto e affetto, che non fanno una tragedia per nulla, persone di cui posso fidarmi. Sono stata fortunata. Sinceramente, volevo lavorare in un contesto internazionalizzato e trilingue e lo faccio, volevo lavorare alla radio e lo faccio, volevo entrare in un certo network e ci sono. Non è perfetto, ma non credo che potrei avere una postura più corretta di questa di fronte a me stessa e alla mia vita. Ho sicuramente molti difetti ma certamente sono diventata una persona coraggiosa e credo che il coraggio mi abbia dato indietro molto. A 20 anni, forse 22, 24, non ricordo bene, mi sono promessa che non avrei avuto una vita qualunque, la fotocopia fronte-retro di tutte le altre, che il mio angolo sarebbe stato diverso. Lo è stato, lo è, anche se sempre con un prezzo da pagare, ovviamente.

C’è una comunità d’italiani? Ne fai parte?

C’è una comunità italo -canadese molto numerosa e potente, importante sia quantitativamente sia qualitativamente, con media, giornali, radio, televisioni, centri comunitari, luoghi e occasioni di ritrovo, alla fine quasi come in un paese. Ci lavoro, sono nel mezzo del suo cuore. Credo che qui il Consolato e anche l’Istituto Italiano di Cultura siano più attivi e accessibili che altrove. Gli italo -canadesi spesso parlano inglese, francese e poi non proprio italiano, ma un dialetto del paese di provenienza, o che si parlava in casa con i nonni. Ci sono ormai anche tantissimi italiani della mia generazione ed è sempre bello ritrovarsi. Siamo una piccola famiglia.

Che consigli daresti a chi vorrebbe trasferirsi lì?

Consiglierei di armarsi di pazienza e buona volontà per le lingue, i documenti d’immigrazione e il freddo. Si può vivere parlando solo inglese o solo francese ma è comunque un po’ caotico. Forse cercarsi uno sponsor fin dall’inizio, cercare di rendersi indispensabile sul posto di lavoro così da farsi sponsorizzare e non fermarsi alla prima difficoltà, pensando “evidentemente non era destino” o cose così. Il destino non esiste, lo crei tu. Poi rassegnarsi al fatto che, anche quando c’è una bufera di neve, si fa tutto e si va al lavoro lo stesso!

E quali a chi vorrebbe andarci in vacanza?

Direi di venire a giugno-luglio per godersi l’euforia dell’estate che sboccia e un’atmosfera felice, oppure a settembre-ottobre per vedere il foliage, perché qui l’autunno ha dei colori spettacolari e offre paesaggi da cartolina.

Se potessi tornare indietro, faresti qualcosa diversamente?

Sarei curiosa di vedere come sarebbe andata la mia vita se fossi andata a vivere, non so, a Bologna o a Milano. Se fossi tornata in Francia o in Inghilterra… se fossi andata in Canada ma, per esempio, a Vancouver… o semplicemente se fossi venuta prima a Montreal… “se potessi tornare indietro” solo a pensarci mi fa venire le vertigini… con il senno di poi, farei molte cose diversamente. Probabilmente perderei meno tempo.

Cos’hai imparato, finora, vivendo lì?

Ho imparato che prendendo l’iniziativa poi la provvidenza un po’ ti aiuta. Che – aimè – fuori dall’Italia ci si può realizzare meglio e la realizzazione professionale, anche se non si è ambiziosi, comunque serve per sentirsi bene nella propria pelle. Non essere valorizzati al lavoro, faticare sempre molto per guadagnare sempre poco, senza garanzie e nella scortesia dilagante, a prescindere dagli aspetti materiali, non fa proprio bene allo spirito. Perché tirando sempre a campare sul filo del rasoio, anche se poi uno ce la fa, non ti fa vivere bene il resto. Io dico sempre che lavoro per vivere, non vivo per lavorare, però, che ci piaccia o no, il lavoro è pur sempre al centro del ragionamento, altrimenti non c’è uno scopo, non c’è dignità. E poi ho imparato la bellezza della varietà dei rapporti, che non sono tutti uguali. Le mie amicizie di vecchia data in Italia sono bellissime e sono di una certa natura e le mie amicizie più recenti qui sono altrettanto belle ma di tutt’altra natura. Io sono sempre me stessa ma in modi diversi. Senza andare troppo sul filosofico -esistenziale, comunque, mi sono conosciuta e accettata e ho imparato anche che l’instabilità che mi sono continuamente auto-procurata, ma senza la quale non mi sento viva, ha sempre avuto conseguenze nefaste di grande sofferenza eppure mi ha dato anche l’unica vita che volevo, che vorrei.

Progetti futuri?

Ci metterei la firma con il sangue a poter andare semplicemente avanti così ma sicuramente l’incantesimo si scioglierà da qualche parte da un momento all’altro… Forse, dopo tanti anni di avanti e indietro tra base 1 – Italia – e base 2 – Canada Orientale, quello che vorrei ricominciare a fare sono i viaggi altrove, in posti nuovi. Tra i 20 e i 30 anni ho viaggiato tantissimo, poi, da quando sono qui, ho fatto più che altro sempre Canada Atlantico e Italia. Bellissimo, ma forse è ora di ricominciare a vedere altro nel mondo.

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