“I ragazzi di sessant’anni”: come e perché è possibile farsi una nuova vita a 60 anni
È uscito il libro “I ragazzi di sessant’anni. Lavoro, famiglia, passioni: come e perché è possibile iniziare una nuova vita” di Enrico Oggioni. L’autore, classe 1955, dopo una vita da manager, decide di cambiare vita e dedicarsi ad altre attività, quali la scrittura; diventando, in un certo senso, primo testimone della tesi del suo stesso libro.
Un libro che, seppure con necessarie limitazioni di campioni di persone prese in considerazione, cerca finalmente di affrontare il cambiamento in un modo più complesso e strutturato di quanto non faccia, per esempio, tanta letteratura di stampo americaneggiante, o tanta filosofia new age. Il cambiamento è inevitabile, fisiologico, spesso subìto ed è qualcosa che non si può e non si deve sovrapporre a singoli aspetti, quali espatrio o cambiamenti di lavoro. È un insieme di cose, delicate, difficili che non si possono relegare in formulette del tipo: “Se vuoi puoi, basta crederci.”
Perché ci sono cambiamenti che hanno a che fare più con ciò che non si può più fare, senza per questo diventare un impoverimento; ma al contrario, occasione per scoprire nuove opportunità anche a 60 anni.
Il libro nasce da uno studio che l’autore ha iniziato nel 2010, grazie anche alla collaborazione di due studiosi dell’Università Cattolica di Milano, e chiamato “Vita nuova” e analizza e racconta cosa accade, o può accadere, in quella fascia d’età che va dai sessanta agli ottant’anni circa. Un’età durante la quale accadono ancora molte cose, un’età per definire la quale, le mutate condizioni di vita, rendono anche difficile trovare aggettivi adatti: una volta a sessant’anni si veniva definiti “vecchi”; oggi, è abbastanza evidente, che non sia più così.
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L’autore ci accompagna attraverso interessantissime analisi socio economiche legate alle mutate condizioni di lavoro che, in Italia almeno, devono fare i conti con il controsenso di persone di cinquant’anni letteralmente sbattute fuori dal mondo del lavoro e la concomitante riforma delle pensioni che allunga l’età lavorativa. Dunque? Che sfida rappresenta questa per il futuro?
Storie, esempi, citazioni di altri studi per aiutarci anche a capire come, rispetto a questa età, spesso manchino i così detti modelli sociali che, anni fa, con i loro luoghi comuni e con la semplificazione delle definizioni, contribuivano comunque a costruire un’identità anagrafica ben precisa: quando si andava in pensione si faceva ciò che la società si aspettava da un pensionato: si passavano le giornate al bar a giocare a carte. Ora non è più necessariamente così e i modelli sociali sono sempre più sostituiti da scelte di vita molto individuali che, per fortuna, in molti casi fanno di questo arco di tempo (dai 60 agli 80 anni) qualcosa che può rivelarsi ricco di occasioni e cambiamenti comunque arricchenti.
Ma l’autore non nasconde la testa sotto la sabbia e ci porta anche esempi in cui questo periodo di transizione non è vissuto in modo così “sereno” ma, come scrive lui come “un giocare in difesa e al ribasso, con una bassa progettualità del futuro.”
E quanto contano, in questo caso, le condizioni economiche in cui si vive e si è sempre vissuti? Domanda che aggiunge complessità alla complessità e fa di questo libro un’occasione di onesta riflessione su cosa significhi non essere più “giovani”.
Qui il libro ci offre un’interessante carrellata in alcune considerazioni di tipo demografico e sociologico che si leggono però con estremo interesse, prive come sono di freddi tecnicismi ma che si presentano invece come storie concrete di uomini e donne che hanno compiuto scelte più o meno radicali di cambiamento o che hanno semplicemente assecondato un cambiamento inevitabile facendone la base per nuove partenze, ponendosi una domanda, a nostro avviso meravigliosa quando a porsela è una persona di sessant’anni: “Cosa farò da grande?” Ma domanda legittima se, come scrive l’autore “mentre negli anni ’50 e ’60 usciti dal lavoro in media a sessantacinque anni, si viveva in pensione poco più di uno o due anni, oggi la fase della vita che ha inizio con l’uscita dal lavoro può raggiungere e persino superare i vent’anni, e costituire perciò un quarto dell’intera esistenza di un individuo.”
E cosa cambia nella percezione di sé, come si definisce o si ridefinisce la propria identità quando, magari per anni, la si è fatta coincidere con quello che era il lavoro che si svolgeva? Man mano che si prosegue nella lettura di questo libro si resta catturati e interessati alle argomentazioni portate dall’autore che davvero trattano l’argomento “cambiamento” con rispetto e intelligenza; intelligenza in senso etimologico e quindi con capacità di coglierne le infinite e complesse sfumature. Cambiare vuol dire portare cesure nette o anche introdurre aggiustamenti alla propria vita? Ritirarsi o ricominciare?
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Il fatto che in questo libro vi siano più domande e suggestioni che risposte dimostra la serietà con cui un tale argomento deve essere trattato. Basti pensare a cosa significa, per esempio, accettare o meno i cambiamenti fisici oppure restare, a volte in modo patetico, attaccati a quella che l’autore chiama “continuità dell’identità fisica”.
Davvero un testo interessante e ricco di suggestioni e provocazioni: un viaggio che prosegue nell’affascinante e irto di ostacoli, argomento dei condizionamenti sociali che portano a scegliere un’opzione di vita, e quindi di cambiamento, piuttosto che un’altra. E qui il confine con la diffusa tendenza al lamento sterile di molti si fa sottile, quando si parla di scelte che non devono però essere velleitarie e perdenti. Interessante, a questo proposito, il concetto che l’autore da di “multi identità” che possono aiutare a scegliere: si vive infatti in una società in cui si “è” molte cose diverse e questo può essere un aiuto nel decidere cosa fare del resto della vita fuori dai meccanismi di lavoro e produttività.
C’è tutto questo ma anche molto altro in questo interessantissimo libro che suggerisce con forza come “cambiare” non significhi solo decidere dove e quando ma, più spesso, come relazionarsi a qualcosa che arriva anche senza la nostra decisione.
A cura di Geraldine Meyer