Ignazio, sto per chiedere la cittadinanza americana

A cura di Maricla Pannocchia

Ignazio, originario del Sud della Sardegna, confessa che, se non avesse ricevuto la proposta di lavorare in Arizona, non avrebbe neanche preso in considerazione il trasferimento negli Stati Uniti.

“Se mi avessero proposto una posizione lavorativa conveniente in qualche altra nazione, ci sarei andato ugualmente” racconta l’uomo che, adesso, si trova bene a Phoenix. Ignazio vive con la sua compagna, ha soddisfazioni a livello professionale (sia dal punto di vista economico sia da quello della gratificazione personale) e sta per fare domanda per ottenere la cittadinanza americana.

“Adesso ho la Green Card ma, se passassi più di sei mesi lontano dal suolo americano, rischierei di perderla e dovrei ricominciare tutta la procedura dal visto. Con il passaporto americano, invece, avrò l’opzione di poter lavorare anche in altri Paesi e poi tornare senza problemi” dice Ignazio.

A chi sogna di trasferirsi a Phoenix, l’uomo suggerisce di sapere bene l’inglese, avere la macchina e scegliere con cura la zona in cui alloggiare.

Ignazio Piras Arizona

Ciao Ignazio, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

Ciao, sono Ignazio, ho 47 anni e sono originario di Sanluri, un paese della provincia del Sud Sardegna. Ho una laurea in Biologia conseguita all’Università di Cagliari nel 2001 e un dottorato di ricerca in Biologia Umana. Lavoro come ricercatore dal 2003. Mi piace praticare sport e cucinare. Attualmente pratico soprattutto kick boxing e vado in bici ma in passato ho praticato un po’ di nuoto e tennis. Mi piace anche leggere, ascoltare podcast e sono appassionato di musica. Cerco sempre di fare nuove conoscenze, penso che arricchiscano e che, potenzialmente, possono portare nuove opportunità. Dal 2018 sono fidanzato con Charlene, americana di origine italiana.

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Quando e perché hai deciso di lasciare l’Italia?

Nel 2012 sono stato assunto come ricercatore dall’Università Campus Biomedico di Roma, con la possibilità di svolgere un periodo di 6/8 mesi come visiting post-doc nel team di ricerca dove attualmente lavoro. Sono stato a Phoenix dall’ottobre del 2012 a maggio del 2013 e poi sono rientrato nuovamente a lavorare al Campus Biomedico. Alla fine del 2014, ho ricevuto un’opportunità di lavoro dallo stesso team con il quale avevo lavorato a Phoenix e, visto che si trattava di un’ottima offerta, ho deciso di trasferirmi. Sono arrivato qui nell’agosto del 2015.

Ora abiti in Arizona, negli Stati Uniti. Come mai hai scelto di trasferirti proprio lì?

Non avevo pianificato o deciso di trasferirmi in Arizona, nemmeno negli Stati Uniti. Se mi avessero proposto una posizione lavorativa conveniente in qualche altra nazione, ci sarei andato ugualmente.

Come descriveresti Phoenix a chi non c’è mai stato?

È una città che si è sviluppata di recente. Basta pensare che nel 1900 contava poco più di 5.000 abitanti e i dati del 2022 ne indicano più di 1 milione e seicentomila, con un’area metropolitana di quasi 5 milioni. Il recente sviluppo ha consentito di progettare una viabilità proporzionata al numero di veicoli, per cui la città non è congestionata o caotica. Le distanze sono enormi. Ci si sposta quasi solo in macchina, e la densità di popolazione è molto bassa. Il clima è molto caldo d’estate (40-45°C), con pochissima umidità. Tuttavia, tra sistemi di condizionamento e spostamenti in macchina, per me il caldo non è un problema. Tutto il resto dell’anno, il clima è mite. Personalmente, preferisco un clima di questo tipo ai freddi inverni di altre zone degli Stati Uniti o del Canada. Per il resto, essendo una città molto grande, offre di tutto.

Avevi delle idee sugli Stati Uniti prima del trasferimento? Se sì, si sono rivelate realiste?

Sinceramente, non sapevo cosa immaginare. Adesso che ci vivo mi rendo conto che la percezione da parte di chi non c’è mai stato spesso è molto lontana dalla realtà. Una cosa che non immaginavo è che gli Stati Uniti sono molto eterogenei, sia culturalmente sia socialmente. Il termine “americano medio”, di cui spesso si parla tanto, è un’astrazione molto semplicistica e approssimativa.

Come ti sei organizzato prima della partenza?

La prima volta è stato un po’ complicato, poiché non conoscevo la città e avevo solo un collega che, essendo stato qui in precedenza, mi ha dato delle informazioni utilissime. Avevo fatto una lista di appartamenti da vedere, in quanto quello dell’alloggio sarebbe stato il problema principale da risolvere. Non conoscendo la città, ricordo che, inizialmente, ero andato a vedere delle case in zone un po’ particolari ma, alla fine, avevo trovato una buona sistemazione. Preparare la valigia è stato semplice, poiché con il clima che c’è qui si può usare un abbigliamento primaverile/estivo per tutto l’anno. La seconda volta tutto è stato molto più semplice: degli amici che avevo conosciuto la prima volta che ero stato qui mi hanno ospitato a casa loro per 10 giorni, in attesa che trovassi un alloggio, e un altro amico mi ha addirittura prestato la sua macchina, visto che era fuori città per una settimana. Anche in quel caso, la cosa principale è stata preparare una lista di appartamenti da guardare.

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Ignazio Piras Arizona

Di cosa ti occupi?

Dal 2015 lavoro presso il Translational Genomics Research Institute (TGen) e ho una posizione come Research Associate Professor. Il mio campo di ricerca è la Neurogenomica, una disciplina che studia le malattie neurologiche e psichiatriche dal punto di vista della genomica. I principali obiettivi delle ricerche che conduco riguardano i fattori di rischio modificabili a scopo di prevenzione, l’identificazione di nuovi farmaci per la cura e i marcatori non invasivi a scopo diagnostico.

È facile, per un italiano, trovare lavoro lì?

Il tasso di disoccupazione in Arizona è del 3.6%, quindi, in teoria, sì. Il problema è che non si può venire qui e cercare lavoro, a meno che non ci sia dietro un’azienda che sponsorizza il visto. Questo succede quando non trovano americani con le competenze adatte. Ad esempio, nel mio settore è difficile trovare americani con il dottorato di ricerca che vogliano lavorare in ambito accademico. I nostri post-doc nel team sono tutti stranieri.

Quali sono i settori in cui è più semplice essere assunti?

Per i non americani, qualsiasi posizione lavorativa ad alta specializzazione per cui ci sia offerta limitata.

Pensi che gli stipendi siano in linea con il costo della vita?

In generale sì, ma dipende dal tipo di posizione lavorativa. Per fare una comparazione più precisa, lo stipendio medio mensile netto (convertito in Euro) a Phoenix è di 4.096 € mentre a Milano è di 1.711 € (139,3% in più). Tuttavia, il costo della vita a Phoenix è solo dello 0,3% più elevato rispetto a quello di Milano.

Puoi dirci il costo di alcuni beni e servizi di uso comune?

L’Arizona non è uno degli Stati più cari degli Stati Uniti. Tuttavia, da quando mi sono trasferito qui, il costo della vita è aumentato notevolmente. Per esempio, la benzina recentemente costa 1,14 dollari al litro, un bicchiere di vino discreto al ristorante si trova tra i 12 e i 15 dollari al calice, una confezione di farina non organica per pane (2,27 kg) costa circa 5 dollari e un pacco di pasta Barilla costa circa 2 dollari. Il costo dei ristoranti varia notevolmente a seconda del tipo di cucina, della qualità e dell’area della città, quindi, è difficile fare una stima precisa.

Cosa bisogna avere, dal punto di vista burocratico, per vivere e lavorare lì?

È necessario avere un visto lavorativo o la Green Card (questa si può ottenere tramite la lotteria o sposandosi con un cittadino/a americano/a). Con la Green Card si può cercare lavoro legalmente e cambiarlo, come può farlo un cittadino americano. Il visto per il lavoro da dipendente viene generalmente sponsorizzato da un’azienda che richiede quello specifico profilo lavorativo, e in quel caso è vincolato alla posizione lavorativa. Se si viene licenziati, il visto decade e bisogna rientrare nel proprio Paese. In certi casi è possibile cambiare lavoro ma la procedura, per quanto ne so, è lunga.

Si può stare come turisti per un massimo di tre mesi ma è proibito lavorare. Quando sono stato assunto, l’azienda per cui lavoro mi ha sponsorizzato il visto e ha pagato tutte le spese (comprese quelle legali). Dopo tre anni ho chiesto di sponsorizzarmi per la Green Card e hanno accettato. Anche in questo caso si sono fatti carico di tutte le spese. Sono passati quasi cinque anni da allora e tra poco potrò richiedere la cittadinanza americana. Esistono anche altri tipi di visti lavorativi, ad esempio per investitori o per chi ha attività private, ma non conosco molti dettagli al riguardo.

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Che consigli daresti per trovare un buon alloggio lì?

Penso che la soluzione migliore per un affitto sia quella di andare a vivere in complessi multi -appartamento. In genere gli standard che offrono sono elevati ma dipende dalla zona della città. Sono rimasto nello stesso appartamento fino a quando non ho comprato casa nel 2021.

Quali sono i prezzi medi e le zone in cui, secondo te, è possibile vivere bene spendendo il giusto?

Sempre relativamente all’area metropolitana di Phoenix, e considerando le zone sicure, gli affitti sembrano abbastanza comparabili. Il problema è che i prezzi sono saliti parecchio negli ultimi anni. Quando mi sono trasferito, per un appartamento di 70 metri quadri con posto auto interno, pagavo circa 950 dollari il mese. Adesso, per lo stesso appartamento, il prezzo è intorno ai 1600/1700 dollari mensili. Per fortuna, sono riuscito a comprare casa nel 2021. Nelle zone dove ci sono più studenti, i prezzi in genere sono un po’ più alti. A una persona che si trasferisce qui, sinceramente consiglierei Scottsdale. È dove ho abitato fino al 2021, prima di comprare casa. Per quanto riguarda l’acquisto di una casa i prezzi, invece, variano parecchio. Per questo motivo mi sono spostato nella West Valley, dove ho trovato una casa in un quartiere tranquillo e a un prezzo ragionevole.

Come sei stato accolto dalla gente del posto?

Molto bene. È un Paese multiculturale e gli americani sono abituati agli immigrati. Spesso rimangono incuriositi dall’accento. Molti americani hanno antenati italiani, parecchi di loro sono stati in Italia o sognano di andarci in vacanza. Per quanto ho visto, apprezzano molto la nostra cultura.

Come descriveresti le loro vite?

Vista l’enorme diversità culturale e sociale, è difficile generalizzare. Quello che ho notato è che in ogni americano si possono riconoscere tratti culturali propri dei suoi antenati immigrati negli Stati Uniti, anche se sono passate alcune generazioni. Una cosa che non mi aspettavo è che alcuni americani, a differenza di noi italiani, danno poca priorità ai rapporti sociali. Lo stesso però non è vero per gli americani di origine italiana o sudamericana. In generale, in Arizona le persone si sposano relativamente presto: l’età media al matrimonio è di 27,5 anni per le donne e 29,5 anni per gli uomini, mentre in Italia è di 34 anni.

Com’è una tua giornata tipo?

Dopo il Covid, ho iniziato a lavorare da casa molto più spesso di prima, ma cerco di andare in ufficio almeno due volte alla settimana, o di più se necessario. In genere mi sveglio verso le 6 e inizio a lavorare verso le 7 o le 8, a seconda di cosa devo fare. Solitamente finisco verso le 18.00/19.00. I giorni in cui vado in ufficio esco di casa dopo le 9.30 per evitare il traffico. Per il resto, a parte il lavoro, cerco di andare in palestra 2/3 volte alla settimana e la sera ceno con la mia compagna o con qualche amico. Ancora, vado a qualche evento di networking. Il sabato, in generale, è l’unico giorno in cui non lavoro mai per cui cerco di dedicarmi ad altre attività quali sport, curare il giardino, cucinare, fare trekking o incontrare amici. Ogni tanto organizzo delle cene a casa. La domenica è simile al sabato ma la maggior parte delle volte lavoro almeno mezza giornata. In generale, non corro il rischio di annoiarmi.

Quali sono state le principali difficoltà da affrontare e come le hai superate?

Personalmente, la difficoltà principale è stata l’insufficiente conoscenza dell’inglese. Inizialmente, a seconda della persona che parlava, non capivo nulla. Una volta acquisito il vocabolario, c’è il problema della pronuncia: non ti capiscono proprio o pensano che tu stia pronunciando un’altra parola. C’è voluto tempo per diventare fluente e il fatto di aver iniziato a studiare l’inglese solo alle scuole superiori non ha aiutato. Penso sempre che, se mi fossi trasferito con il livello d’inglese che ho adesso, l’esperienza sarebbe stata completamente diversa e inizialmente più semplice e meno stressante. Altre piccole difficoltà possono riguardare le modalità d’interazione. Giusto per fare un esempio, gli americani spesso non sono diretti, quindi, se ti devono chiedere qualcosa, la prendono talmente alla larga che non sembra che ti stiano chiedendo qualcosa, o si ha l’impressione che quello che ti chiedono non sia molto importante. Questo all’inizio può creare malintesi. Per il resto, mi sono ambientato molto velocemente. Crearmi una rete di conoscenze e avere amici per me non è stato difficile.

E quali, invece, le gioie e le soddisfazioni?

La carriera lavorativa sta andando bene, e non solo da un punto di vista economico. Questa forse è una delle cose più rilevanti che sono cambiate da quando mi sono trasferito qui, insieme al miglioramento del tenore di vita. Posso viaggiare di più e tornare in Italia due volte l’anno per rivedere la famiglia e gli amici. Lo smart working mi consente di trattenermi ogni volta per circa un mese. Un’altra soddisfazione è stata quella di comprare casa, un traguardo che in Italia mi sembrava irraggiungibile.

Che consigli daresti a chi vorrebbe trasferirsi lì?

Ci sarebbero tante cose da dire. Ad esempio, esistono delle differenze culturali per cui, all’inizio, possiamo rimanerci male per certi atteggiamenti che alcuni americani possono avere nei nostri confronti ma, nella maggior parte dei casi, non c’è nulla di personale. Sebbene sia difficile generalizzare, gli americani tendono a essere più individualisti, nel bene e nel male, e tengono molto al loro spazio personale, sia fisico sia sociale. Come consigli pratici, tra le altre cose suggerirei di portarsi dei contanti per le prime spese (minimo qualche migliaio di dollari). Sebbene qui si usino sempre pagamenti elettronici, all’inizio, per sistemarsi, i contanti possono essere utili per vari motivi. Suggerirei anche di scegliere con attenzione la zona dove si va a vivere. A volte è meglio fare 10 minuti di macchina in più ma stare in una zona tranquilla. Purtroppo, in questa città si passa molto velocemente da un estremo a un altro. A Phoenix è importante avere una macchina, viste le distanze e il clima d’estate. Conosco persone che hanno vissuto per un po’ di tempo senza ma ritengo che sia molto limitante.

E quali a chi vorrebbe andarci in vacanza?

La cosa più importante è attivare un’assicurazione medica, poiché una visita al Pronto Soccorso, anche per problemi minori, potrebbe costare parecchio. In Arizona, i controlli stradali sono rigidi, quindi, se affittate una macchina, rispettate i limiti di velocità ed evitate di commettere infrazioni. Per l’alcol alla guida c’è tolleranza zero. Se vi fermasse la polizia, non scendete dalla macchina a meno che non vi venga chiesto. Bevete sempre molta acqua, il rischio di disidratazione è molto alto a causa del clima desertico. Sia in macchina sia a piedi, non avventuratevi in zone che non conoscete, poiché, come dicevo prima, si può facilmente passare da aree sicure a zone pericolose. Questo è valido per tutte le città americane. I prezzi esposti sono senza tasse, quindi, alla cassa pagherete sempre un po’ di più del prezzo esposto. Nei ristoranti e pub si lascia la mancia (tra il 15% e il 20%), poiché il guadagno dei camerieri dipende più che altro da questa, piuttosto che dallo stipendio. In generale, consiglierei di passare pochissimo tempo a Phoenix e di sfruttare i giorni per visitare i vari parchi che si trovano nel nord dell’Arizona e in Utah, come il Grand Canyon, Monument Valley, Bryce Canyon e molti altri.

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Se potessi tornare indietro, faresti qualcosa diversamente?

Sarebbe stato più semplice arrivare con un livello d’inglese migliore, forse avrei dovuto prepararmi meglio sotto quell’aspetto. Per il resto, non penso cambierei molto.

Cos’hai imparato, finora, vivendo lì?

La mentalità americana in generale è più propensa al rischio e c’è poca paura di sbagliare. Il fatto di averci provato, anche fallendo, viene visto sempre meglio di non aver fatto nulla per paura di sbagliare. Non si viene colpevolizzati per un fallimento. La stessa cosa accade quando si fanno errori, anche in ambito lavorativo. Si ammette l’errore e si cerca di risolverlo, senza puntare il dito e colpevolizzare chi ha sbagliato.

Progetti futuri?

Come ho anticipato prima, intendo chiedere la cittadinanza americana. Adesso ho la Green Card ma, se passassi più di sei mesi lontano dal suolo americano, rischierei di perderla e dovrei ricominciare tutta la procedura dal visto. Con il passaporto americano, invece, avrò l’opzione di poter lavorare anche in altri Paesi e poi tornare senza problemi. Tra le altre cose, sto iniziando a collaborare come scientific advisor con una fondazione (Judy Loker Initiative) che vuole sensibilizzare le persone, soprattutto i più giovani, ai fattori di rischio e prevenzione per malattie neurodegenerative.

Per seguire e contattare Ignazio:

E-mail: ignaziospiras@gmail.com

Sito web: https://www.tgen.org/faculty-profiles/ignazio-s-piras/:

Instagram: https://www.instagram.com/xirizone/?hl=en