Jeanne Marie: mi sono trasferita nel Quebec

A cura di Maricla Pannocchia

Jeanne Marie, originaria del Ruanda ma adottata da una famiglia italiana, dopo anni passati a lavorare in diversi settori in Italia, si è accorta di essere stanca di tante dinamiche con cui era cresciuta ma che non ha mai accettato. “Sul podio di queste dinamiche posso mettere il razzismo, la pressione sociale sulle donne, la corruzione e le condizioni lavorative,” racconta la donna, “Sono andata a vivere da sola a 21 anni e, da allora, le difficoltà economiche hanno costantemente influenzato le mie scelte e il mio benessere psicologico. Non sapevo come uscirne, mi dicevo che un’esperienza all’estero non mi avrebbe potuto fare male. Se non fosse andata bene, sarei potuta tornare indietro, ma con la conoscenza di una nuova lingua.”

E così, poiché, anche se è stata adottata da una famiglia italiana, Jeanne Marie è sempre stata in contatto con la sua famiglia biologica, la donna ha deciso di volare a Quebec City, in Canada, dove viveva un suo parente che l’ha ospitata per il primo periodo.

“Lavoro per il parlamento, più precisamente nell’ufficio del deputato della mia circoscrizione elettorale” continua Jeanne Marie che – dopo aver vissuto 7 anni di angoscia per tutta la trafila del percorso d’immigrazione che, solitamente, richiede un paio d’anni ma nel suo caso, appunto, ne ha richiesti 7 – si è appassionata al diritto all’immigrazione. “Sono consapevole di essere un’immigrata di serie A, perché sono arrivata con un volo aereo e con una conoscenza sommaria del posto. Chi abbandona tutto per fuggire dalla miseria o dalla guerra, senza nemmeno sapere dove sta andando e se mai arriverà a destinazione, ha il mio rispetto più profondo” aggiunge la donna che, in futuro, pianifica di ottenere un master su questa materia.

Jeanne Marie Ferni Paganetti

Ciao Jeanne, raccontaci qualcosa di te. Chi sei, da dove vieni…

Ciao a tutti, mi chiamo Jeanne Marie ma tutti mi chiamano JahGi. Ho 38 anni, sono ruandese di nascita e valtellinese di adozione.

Dopo un quarto di secolo in Italia, ho deciso di emigrare in Québec. La mia avrebbe dovuto essere un’esperienza di qualche mese ma è diventata un progetto di vita.

Cerco di vivere in maniera sostenibile e mi piace l’idea di contribuire a creare una società migliore. Sono una sognatrice. Per me i sogni sono la fase iniziale di qualsiasi progetto.

Quando e perché hai deciso di lasciare l’Italia?

Ho lasciato l’Italia nel 2017 perché, semplicemente, ero stanca di molte dinamiche con le quali sono cresciuta ma alle quali non riuscivo proprio ad abituarmi.

Sul podio di queste dinamiche posso mettere il razzismo, la pressione sociale sulle donne, la corruzione e le condizioni lavorative.

Quest’ultimo è sicuramente il fattore che ha influenzato di più la mia decisione. Ho lavorato per quindici anni in Italia, in contesti molto diversi fra loro, quasi sempre assurdi per la retribuzione e/o per il clima letteralmente tossico.

Sono andata a vivere da sola a 21 anni e, da allora, le difficoltà economiche hanno costantemente influenzato le mie scelte e il mio benessere psicologico. Non sapevo come uscirne, mi dicevo che un’esperienza all’estero non mi avrebbe potuto fare male. Se non fosse andata bene, sarei potuta tornare indietro, ma con la conoscenza di una nuova lingua.

Ora vivi a Quebec City, in Canada. Come mai hai deciso di trasferirti proprio lì?

Sono stata adottata da una famiglia italiana ma conosco la mia famiglia biologica. Sapevo che un membro abitava da qualche parte in Canada. Con il tempo ho scoperto che abitava proprio nella città di Québec. Questa persona mi ha ospitata per due mesi.

Non avevo mai sentito nominare il Québec nell’attualità, a malapena si sentiva parlare del Canada. Questo mi rassicurava. Per me significava andare veramente in una società diversa da quella in cui ero cresciuta.

Non conoscevo niente del Québec, nemmeno della sua esistenza. Infatti, sbagliai a comprare il biglietto aereo e atterrai a Montréal, convinta che quella fosse la capitale della provincia.

Mi ci è voluto un solo giorno per innamorarmi della città. Adoravo il quartiere e, soprattutto, la gente, così calma e rispettosa.

Come hanno reagito amici, parenti e conoscenti davanti alla tua scelta?

Erano tutti sorpresi. Ripensandoci, la maggior parte delle persone che mi circondava non riusciva a capire perché volessi partire. Ancora oggi, quando mi capita di scambiare dei messaggi con qualche contatto italiano, c’è sempre chi lancia un “Quando torni?”.

C’è stato anche chi mi ha compresa e ha creduto realmente in me e queste sono le persone con cui sono ancora in contatto regolarmente. Tra queste persone c’era anche il mio ragazzo dell’epoca, che, qualche anno dopo, è diventato mio marito e mi ha raggiunta in Québec con i suoi figli.

Jeanne Marie Ferni Paganetti

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Come ti sei organizzata prima della partenza?

L’anno prima di partire cercavo di risparmiare ma, allo stesso tempo, vivevo con leggerezza. Mentalmente, mi preparavo al fatto che sarei stata sola in un posto completamente sconosciuto.

Non so se si possa parlare di “organizzazione”, perché di fatto non ero molto cosciente di quello che mi aspettava. Pensavo di restare sei mesi, invece sono qui da ormai sette anni.

Era la prima volta che m’imbarcavo in un’impresa simile e, anche se all’epoca non parlavo francese, ho seguito tutte le pratiche da sola. Leggevo, rileggevo, usavo Google Translate e, alla fine, ce l’ho fatta: ho ottenuto un permesso di lavoro aperto (il famoso Working Holiday Permit).

Di cosa ti occupi?

Lavoro per il parlamento, più precisamente nell’ufficio del deputato della mia circoscrizione elettorale. Ascolto le richieste dei cittadini, mi occupo di amministrazione e contabilità. Mi piace il mio lavoro perché mi permette di conoscere la comunità in cui vivo e il mondo della politica. Lavoro in ufficio solo tre giorni a settimana.

In parallelo, faccio piccoli lavori per finanziare i miei sogni. Mi è capitato di dare lezioni d’italiano, ora lavoro in una cooperativa di artisti di circo, poi si vedrà.

Qui in Québec, ho ottenuto anche un diploma come grafica. Questo mi permette di sviluppare i miei progetti personali in autonomia ma non credo che lavorerò mai nel settore.

È facile, per un italiano, trovare lavoro lì?

Dipende sicuramente dalla situazione personale di ciascuno e dalle aspettative che ognuno ha. Se la priorità in assoluto è lavorare, magari per fare un’esperienza di qualche mese, allora il lavoro di sicuro non manca.

Se si vuole seguire un progetto a lungo termine e farsi assumere in un settore preciso, invece, si possono incontrare varie difficoltà dovute alla lingua e al fatto che i diplomi ottenuti in Italia qui non sono riconosciuti.

Se si è ambiziosi, con un po’ di pazienza, perseveranza, umiltà e lavorando sodo, si può arrivare dove si vuole.

Io non parlavo francese ma ho trovato un’occupazione in una settimana: ero cameriera ai piani. Questo non mi ha impedito di sognare e avanzare.

Quali sono i settori in cui è più semplice essere assunti?

C’è mancanza di manodopera in tutti i settori ma la facilità di assunzione a volte si scontra con la burocrazia.

Praticare delle professioni dove serve l’iscrizione all’albo è molto difficile, per tutti gli altri lavori invece è più semplice. Due settori che mi vengono in mente subito sono la sanità e la costruzione.

C’è un bisogno disperato di medici, infermieri, operatori e operatrici socio-sanitari, tutto quello che riguarda la sanità. Sono professioni per le quali serve l’iscrizione all’albo, quindi sono difficilmente accessibili.

Un altro discorso è per i muratori, gli elettricisti, i saldatori, gli idraulici, ecc. Per queste professioni basta avere un permesso di lavoro ed è facile essere assunti.

Il mercato del lavoro è molto diverso da quello italiano, quindi vale la pena fare delle ricerche approfondite in base al proprio settore per avere un quadro realistico.

Pensi che gli stipendi siano in linea con il costo della vita?

Secondo me sì, basta vivere secondo le proprie possibilità. Questo significa anche saper scegliere dove e come si vive.

Il bello di questa società è la possibilità costante di poter studiare, formarsi e migliorare le proprie condizioni di vita.

A volte leggo nei gruppi Facebook di gente che si lamenta dei prezzi in Québec e mi viene da sorridere. Premesso che, ultimamente, gli affitti sono aumentati ovunque ed è innegabile, se si vuole vivere in una metropoli come Montréal e ci si aspetta di trovare i prezzi di Pedesina, è inevitabile rimanere delusi.

Puoi dirci il costo di alcuni beni e servizi di uso comune?

Non sono esattamente la persona migliore per rispondere a questa domanda, perché vivo su un altro pianeta rispetto alla media nordamericana e il mio stile di vita rimane uguale anche quando le mie entrate aumentano.

So che l’inflazione ha colpito il carrello della spesa ma l’impressione che ho è che l’impatto sia molto più forte sui cibi pronti.

Mangiare al ristorante costa sicuramente di più che in Italia ma immagino che sia normale quando il personale viene pagato il giusto. Anche la telefonia costa molto rispetto a quello a cui ero abituata.

Ripeto, sono pessima, perché compro veramente poco, il 90% delle volte si tratta di cose usate o rigenerate.

Jeanne Marie Ferni Paganetti

Come funziona, invece, per avviare un’impresa lì come stranieri?

Non ho mai avuto il capitale sufficiente per avere questo tipo di pensieri, quindi, ammetto di essere piuttosto ignorante in proposito.

Diciamo che ci sono due vie: quella per la gente “normale” e quella per gli investitori.

I comuni mortali fanno il percorso regolare, diventano residenti permanenti e poi avviano un’attività con gli stessi criteri che si applicano ai locals.

Se invece si parla d’investimenti con grossi capitali, c’è un programma d’immigrazione particolare. Bisogna conoscere già il francese e portare delle cifre che mi pare si aggirino intorno ai 2 milioni.

Cosa bisogna avere, dal punto di vista burocratico, per vivere e lavorare lì?

Se si vuole lavorare qui, bisogna avere un’autorizzazione. Questa può essere permanente o temporanea.

Se ci si vuole stabilire in maniera definitiva, bisogna avere la residenza permanente. Se, invece, si vuole fare solo un’esperienza, si parla di residenza temporanea e basta avere un permesso di lavoro o di studio.

Ci sono vari tipi di programmi per ottenere sia la residenza permanente sia quella temporanea. Ovviamente, da residenti temporanei, si può diventare permanenti, seguendo delle procedure particolari.

L’immigrazione è una materia molto soggettiva. Ognuno, in base all’età, al percorso accademico e professionale, può avere più o meno possibilità di ottenere un’autorizzazione per vivere e lavorare qui.

Oltretutto, è importante ricordare che il Québec gestisce l’immigrazione in maniera diversa dal resto del Canada.

La sola cosa certa è che bisogna avere molta pazienza.

Come ti sei mossa per cercare un alloggio?

Inizialmente, come ho accennato, una persona mi ha ospitata. Ho iniziato a lavorare un paio di settimane dopo il mio arrivo e, due mesi dopo, ho firmato il mio primo assegno per pagare l’affitto.

Io sono arrivata nel 2007, quando trovare casa a prezzi ragionevoli era abbastanza semplice. Negli ultimi anni, si parla di una vera e propria crisi, perché gli alloggi, oltre a essere più cari, sono pochi.

Quali sono i prezzi medi e le zone in cui, secondo te, è possibile vivere bene spendendo il giusto?

Trovare un quadrilocale o un trilocale sotto i 1200$ sta diventando un’impresa sempre più difficile. Ce n’è ancora qualcuno a Maizerets, Vanier, Saint-Sauveur, Saint-Roch e Vieux-Limoilou, quartieri centrali, movimentati e collegati relativamente bene con i mezzi pubblici.

Le zone più care forse sono Montcalm, Sillery e Sainte-Foy, i cosiddetti quartieri residenziali, le banlieues con le casettine tutte uguali e i giardini in ordine. Sebbene siano periferici, sono comunque quartieri accessibili con i mezzi pubblici.

Se ci si dirige ancora più lontano, in direzione nulla, allora gli affitti scendono notevolmente; la macchina in quel caso però diventa obbligatoria. Non so quanto sia conveniente sul lungo termine ma tanti optano per questa opzione.

Vivere bene e spendere il giusto è sempre una questione personale, dipende dalle priorità e dallo stile di vita di ciascuno.

Come sei stata accolta dalla gente del posto?

Québec è una città piuttosto grande. La gente è abituata alle differenze e questo fa sì che tu venga accolto senza pregiudizio, soprattutto nei quartieri centrali. Ovunque vai, trovi sempre persone di varie origini, quindi è impossibile sentirsi diversi.

Se fai lo sforzo d’imparare il francese fai veramente un regalo a te stesso, perché la gente del posto lo apprezza enormemente.

Sono tutti molto, molto gentili ma creare un rapporto profondo con i locals è un’impresa titanica. Lo sapevo prima di partire ma questo non mi ha impedito di rimanere sorpresa dalla difficoltà di stringere legami, nonostante io sia una persona estroversa e socievole.

È una questione culturale; i rapporti sociali vengono vissuti in maniera molto diversa rispetto a come li viviamo in Italia.

Io ho la fortuna di abitare in un quartiere particolare, rinomato in città per le attività conviviali tra i vicini, dove i bambini giocano ancora per strada. Parlo con i miei vicini ma andare oltre al saluto cortese è piuttosto raro.

Le amicizie qua nascono al lavoro. L’unica eccezione la fanno i bambini, che fanno da collante tra i genitori.

Come descriveresti le loro vite?

Molto dinamiche. I locals sono in continuo movimento e sono molto aperti al cambiamento. Le loro vite sono orientate verso un obiettivo e lo perseguono, anche a discapito della vita sociale. Perdono poco tempo in futilità ma questo non vuol dire che non abbiano momenti di svago, al contrario! È solo che tendono a non mischiare le cose.

Sono molto riservati. Nel cortile della scuola, mi capita di parlare con qualcuno che poi vedo in televisione. C’è molto rispetto per la vita privata delle persone.

Com’è una tua giornata tipo?

Se devo andare in ufficio, mi alzo con calma. Leggo, faccio colazione, prendo la bici e in dieci minuti arrivo al lavoro. Ho un minimo di ore di presenza da rispettare, il resto le gestisco in base alla mole di lavoro.

In estate, è più facile che dopo il lavoro faccia un giro nel quartiere o mi fermi al parco. In inverno, tendo a tornare direttamente a casa.

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Quali sono state le principali difficoltà da affrontare e come le hai superate?

Il sistema d’immigrazione è stato il più grande pain in the a** (grande seccatura). È stato lunghissimo, a volte sembrava impossibile arrivare alla fine. Mediamente ci vogliono un paio di anni per ottenere la residenza permanente, a me ne sono serviti sette.

Ho affrontato il problema smettendo di prenderla sul personale. A un certo punto, mi sono detta che avrei vissuto la mia vita senza fissarmi troppo sui dettagli.

Nei momenti di sconforto più profondi, facevo il paragone con il sistema d’immigrazione italiano e mi rendevo conto che, tutto sommato, qui non andava così male.

Anche la lingua è stata un altro ostacolo non da ridere. Mi ci sono buttata a capofitto e, quando ho potuto, ho seguito un corso di francese, grazie al quale ho imparato moltissimo. Più di tutto, mi ha permesso di misurarmi con altre persone non francofone di nascita. Da allora sono un po’ più indulgente con me stessa.

E quali, invece, le gioie e le soddisfazioni?

La gioia più grande è ripensare al percorso che ho fatto, a dov’ero sette anni fa e a dove sono oggi. Avevo un’enorme paura di non farcela, oggi invece penso che niente è impossibile.

Le mie difficoltà sono diventate anche le mie soddisfazioni. Infatti, quello che ho vissuto durante il mio percorso d’immigrazione mi è molto utile oggi per il mio lavoro.

C’è una comunità di italiani? Ne fai parte?

Nella città di Québec non c’è una comunità italiana. Gli italiani e le italiane ci sono, esistono, ma non si può parlare di comunità.

Inizialmente, non mi dispiaceva nemmeno. Con il tempo, ho sentito il bisogno di prendere contatto con altri italiani e sono andata letteralmente a cercarli. Ora, con calma, sta nascendo qualcosa. Ci ritroviamo ogni tanto ma tessere legami stabili e duraturi, anche con gli italiani e le italiane che vivono qui, non è facile. Sono tutti concentrati sulle proprie attività, a discapito dei rapporti sociali, esattamente come la gente del posto.

Che consigli daresti a chi vorrebbe trasferirsi lì?

Consiglio di essere aperti.

La differenza culturale tra l’Italia e il Québec è reale ma nessuna delle due culture è meglio o peggio dell’altra. Almeno, non nel complesso. Sono semplicemente diverse.

Osservare le due culture con obiettività è la chiave per vivere al meglio. Prendere il buono di una e dell’altra può portare a un equilibrio a lungo termine.

Chi vuole trasferirsi qui deve anche abituarsi a rallentare e a vivere secondo i ritmi della natura.

E quali a chi vorrebbe andarci in vacanza?

Se volete vedere l’inverno québécois, fatto di metri di neve e occasioni per pattinare sui sentieri del parco, sbrigatevi, perché il cambiamento climatico è già in atto.

A chi viene qui in vacanza consiglio di uscire un po’ dal circuito turistico e vivere la vita di quartiere, almeno per un giorno. Osservare i bambini che vanno a scuola da soli, fermarsi a fare colazione in un café cool, perdersi per qualche ora in biblioteca, fare un pic-nic al parco, un salto in piscina, una cena poco ricercata, assistere a un concerto di musica classica al tramonto e andare a dormire con il cuore pieno.

Se potessi tornare indietro, faresti qualcosa diversamente?

A volte penso che sarei dovuta partire dieci anni prima ma poi ricordo com’ero a vent’anni e so che non avrei apprezzato la tranquillità del Québec e mi sarei persa un sacco di cose.

Se potessi tornare indietro forse affiderei la gestione delle mie pratiche a un consulente in immigrazione. In quel caso, avrei speso di più ma avrei evitato tutti questi anni d’instabilità e d’incertezze.

Rido tra me e me, perché il diritto all’immigrazione è diventata una vera e propria passione.

La verità è che non cambierei nulla.

Cos’hai imparato, finora, vivendo lì?

Ho imparato cosa significa essere immigrati, vivere tra due mondi.

Il mio presente e il mio futuro sono qui, ma ci sono molte cose del passato del Québec che non conosco e non conoscerò mai. Il mio passato invece è in Italia ma, non vivendoci da molto tempo e non tornando regolarmente, non riesco ad avere un ritratto veramente aggiornato del Bel Paese. Ho imparato a fare pace con questo.

Inoltre, sono consapevole di essere un’immigrata di serie A, perché sono arrivata con un volo aereo e con una conoscenza sommaria del posto. Chi abbandona tutto per fuggire dalla miseria o dalla guerra, senza nemmeno sapere dove sta andando e se mai arriverà a destinazione, ha il mio rispetto più profondo.

Ho anche imparato a misurarmi con me stessa, accettando i miei limiti. Ricominciare da zero qui mi ha permesso di capire quanto si possa fare con impegno e perseveranza.

Progetti futuri?

Ho intenzione d’iscrivermi all’università e conseguire quello che in Italia credo sia un master. Voglio diventare consulente in diritto all’immigrazione.

Per seguire e contattare Jeanne:

E-mail: info@vegananonpraticante.com

Sito web: www.vegananonpraticante.com

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