Fra rischi e certezze: il Kenya come meta per una nuova vita
Abbandonare tutto e andarsene in un altrove imprecisato per cambiare vita: alla facilità del pensiero consegue solitamente una ben più significativa difficoltà organizzativa. Tra il dire e il fare, insomma, oltre ad esserci di mezzo il mare (cosa che concretamente avviene nella maggior parte delle volte in cui effettivamente si desidera voltare pagina), ci sono di mezzo montagne di procedure burocratiche più o meno chiare che spesso finiscono per far vacillare anche le decisioni più salde.
Dunque per evitare che il proprio progetto di vita rischi di affondare ancora prima di prendere corpo, sarebbe opportuno procedere secondo logica, senza farsi abbagliare da falsi miti o farsi prendere da frenesie il più delle volte foriere di approssimazione e, di conseguenza, di insuccesso. Prima operazione da compiere, dunque, al netto di scelte già effettuate per motivi diversi, è quella di capire quali potrebbero essere gli scenari su cui andare ad impostare la propria nuova vita.
E farlo non sulla base di suggestioni ricavate da qualche lettura o da una svagata navigazione in rete, ma puntando su dati il più possibile concreti. Il web, se scandagliato con intelligenza e un minimo di razionalità, offre moltissime opportunità in tal senso. E dunque si può provare ad affidarsi a informazioni che, messe in relazione fra loro, possono suggerire la costruzione di una piattaforma di dati minimamente attendibili. Si può partire da una generica serie di preferenze per poi andare a verificare quanto queste possono venire fortificate o, al contrario, mortificate nello scontro con la dura realtà. Se la situazione climatica costituisce una prerogativa fondamentale, ci si dovrà orientare verso aree del pianeta che offrano le condizioni più adeguate, ma si dovrà poi stare attenti ad incrociare questi dati con quelli, altrettanto importanti, delle necessità economiche, indispensabili per impostare una nuova vita.
Un esempio: puntando verso luoghi del pianeta dotati di un clima temperato per la maggior parte dell’anno, ci si può imbattere nel Kenya, Paese africano fra i più solidi politicamente e per questo fra i più affidabili. In Kenya, tra l’altro, è presente da tempo, in particolare nella zona di Malindi, una comunità italiana ben radicata e in grado di contribuire al successo del proprio progetto. La base di partenza, sempre che si sia disposti a sacrificare le proprie abitudini di vita alla occidentale per abbracciare quelle locali, sembra dunque incoraggiante.
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Il costo della vita? In realtà non è così basso come si potrebbe pensare, ma se inizialmente ci si dispone nell’ordine mentale di fare qualche sacrificio, si può arrivare a fine mese con una spesa di 6-700 euro: 200 per l’affitto di un’abitazione, 150 per il cibo (purché non si ecceda con i ristoranti europei), 100 per un’assicurazione sanitaria, il resto per vivere dignitosamente.
L’unico sistema però per trovare sistemi in grado di garantire entrate per quella cifra, in un Paese ad elevato tasso di disoccupazione com’è il Kenya, è quello di godere di una rendita di partenza, una pensione per esempio, e con quella soddisfare le proprie necessità.
Più complesso è ipotizzare di trovare un lavoro, a meno che non si disponga di un plafond finanziario iniziale piuttosto consistente con il quale effettuare un investimento funzionale e redditizio: un bar, per esempio, o un ristorante, come hanno già fatto molti italiani che sono ormai diventati kenyani d’adozione.
Tuttavia il mercato è attualmente già abbastanza saturo e in un sistema socio-economico comunque non brillante si tratterà sempre di una operazione caratterizzata da un certo rischio. Conclusione? Il Kenya sì, ma solo se si può contare su un’entrata certa e fissa nel Paese di origine, tale comunque da garantire un livello di vita il più possibile simile a quello che si è deciso di abbandonare. Se però si ama il rischio…
Gianluca Ricci