La resistenza al cambiamento
La resistenza al cambiamento è sorprendente. Tu pensi che sia forte, che opporrà resistenza dura, ma non puoi immaginare quanto. E rendertene conto è uno choc.
Non si tratta solo di dire “non ce la farò mai”, che è la paura più diffusa, la sensazione di essere inadatti, di non potere, di non sapere come fare, di non poter contare sulle proprie forze. Se si trattasse di questo le cose sarebbero più semplici. B
asterebbe cimentarsi, provare, osservare come nella nostra vita (anche solo statisticamente) una serie di azioni intraprese, di sfide raccolte, siano andate a buon fine. Dall’esame della quinta elementare, a quello di terza media, alla maturità, per alcuni anche dopo, università, master, e poi colloqui di lavoro, patente di guida, patente nautica, riunioni di lavoro complesse, e perfino la sfida (per nulla semplice) di attrarre qualcuno, di farsi dire di sì da un uomo o da una donna, di convincere qualcuno di un’opinione, di una proposta, di un progetto qualunque.
Statisticamente, milioni di persone sono riuscite in gran parte di queste attività, a dimostrazione che se ci si mettevano, se si impegnavano, le cose nella loro vita più o meno accadevano. Accadevano con una percentuale di errore o di successo nella media, intendo.
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Cosa non da poco, se ci pensiamo, perché la nostra paura poggia proprio sulla convinzione opposta, e cioè che se la media può aspirare a riuscire in quella data azione, noi, invece, tapini, non ce la faremo. Ragionare su questa evidenza, fare una propria “check list del possibile” aiuta molto a relativizzare e razionalizzare le nostre paure.
Ma purtroppo la resistenza al cambiamento ha la straordinaria facoltà di riuscire a mistificare, mescolare le carte, diventare altro ogni volta.
Tra tutte, la paura di “non potere” potrà essere forse la fondamentale, ma il suo vestito cambia spesso, a seconda della nostra intelligenza, del timore di venire scoperta e battuta, delle condizioni esterne nelle quali ci troviamo.
Ad esempio, ci si manifesta come sospetto. Per evitare di doverci cimentare, tendiamo spesso a sospettare che chi ce l’ha fatta abbia barato. Se lui bara, vuol dire che siamo in salvo, perché quella certa azione si rivelerebbe effettivamente impossibile per tutti e fattibile solo barando (cosa che noi non possiamo fare oggettivamente).
Un esempio: se qualcuno vince un concorso, sospettiamo subito che sia stato raccomandato. In questo modo, sprovvisti noi di una raccomandazione (fattore estraneo alle nostre capacità), non tentiamo neppure, “tanto sarebbe inutile”.
Non ci sfiora neppure per un attimo l’idea di tentare comunque, di credere che bastino le capacità. Non tentare essendo al riparo da critiche ci soddisfa e ci avanza. La nostra paura ha vinto. Badate al processo, non al fatto in sé (a volte le raccomandazioni sono effettivamente l’unica via).
Un’altra manifestazione della resistenza al cambiamento è che “costi troppo” (troppo tempo, troppi soldi, troppo impegno, troppa pazienza…) ovvero che il costo rispetto al beneficio sia sproporzionato. In quel caso tentare sarebbe una follia, cioè cosa da persone non raziocinanti. Ancora una volta siamo al sicuro.
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La più diffusa manifestazione, la più raffinata, è quella culturale, politica, intellettuale. Se un certo principio di cambiamento fosse ingiusto, si basasse su presupposti politici, culturali da noi ritenuti non validi, potremmo sottrarci al cambiamento facilmente, e per di più con tutti gli onori.
Pensare a un mondo diverso, a un sistema migliore, ne è un classico esempio. Se noi crediamo nella rivoluzione, ad esempio, non abbiamo che da attendere che avvenga. L’ipotesi di cominciare noi, da soli, a rivoluzionare il nostro mondo cambiando vita, consumi, abitudini, verificando quanto sia possibile, facendo testimonianza diretta, etc… lo bolliamo come “scelta individuale”, come “fuga nel privato” o addirittura come egoismo. Declassiamo il valore intellettuale e politico di quella scelta per rendere meritevole la nostra attesa di Godot.
Meglio aspettare la rivoluzione, cioè aspettare ab aeterno. Così nel frattempo siamo al riparo dalla fatica di darci da fare.
Simone Perotti