La vita di Francesca in Kenya
Sognava di vivere in Kenya, sin da piccola, quando, cioè, non sapeva neanche dove fosse l’Africa sul mappamondo. Aveva sentito parlare di questa terra, dove il cielo è sempre azzurro e le persone ti accolgono spesso sorridenti e spensierate.
Alla fine il suo grande desiderio, quello di vivere a contatto con la natura, è diventato realtà.
Da qualche anno, infatti, Francesca Sciascia, nata a Torino, 31 anni fa, vive a Malindi dove dà una mano al suo compagno, organizzando safari, escursioni, viaggi. “Diciamo -spiega- che è anche una delle poche cose che si possono fare qui, se non si hanno soldi da investire”.
Ma quando é andata via dall’Italia?
Ho preso un volo da Malpensa il 10 settembre del 2009.
Mia madre dice sempre che sognavo l’Africa anche a pochi anni di vita. Ho realizzato un sogno. Non sempre ne sono consapevole, ma continuo a dire a tutti di non smettere mai di sognare, perché i sogni possono avverarsi! Non sono scappata dall’Italia, anche perché ho un legame molto forte con la mia famiglia. Ho solo inseguito il mio sogno.
Quindi continua ad amare la sua terra?
Certo, amo il nostro Paese, lo trovo uno dei più belli al mondo, ma non sono mai riuscita ad entrare nei suoi ritmi frenetici. Apparire invece che essere: questa forse è la cosa che più mi andava stretta. La corsa verso qualcosa di ignoto.
Lo svegliarsi la mattina e correre correre, correre senza sapere dove, senza avere una meta. In Italia dovevo correre solo perché tutti correvano.
Vivevo per lavorare, non avevo tempo da dedicare a me stessa, non c’era solidarietà, avevo perso completamente il legame con la terra, con la natura. In Italia abbiamo perso la capacità di ascoltare e ascoltarci, il senso vero della famiglia. Non si ha tempo per nessuno tanto meno per noi stessi.
In Kenya?
Qui la vita è diversa, non è perfetta, ma si addice molto di più al mio carattere. Sono sempre stata molto legata alla natura e questo è un altro dei motivi per cui il Kenya mi ha sempre attratta.
Perché ha scelto Malindi?
Guardi, se avessi avuto la possibilità di scegliere, avrei optato per un campo nel bel mezzo della savana. Malindi è una cittadina, in cui si ha la possibilità di lavorare. Per questo sono qui. E poi.
E poi?
Perché in un villaggio nei pressi di Malindi viveva quello che inizialmente è stato un buon amico e che ora è diventato il mio compagno.
Ce la descrive?
Malindi è Malindi. Difficile descriverla, difficile viverla. Riesci ad odiarla e, al contempo, non ne puoi fare a meno. È piccola, ma caotica. Colorata, chiassosa. La maggior parte dei malindini parla italiano. Il dieci per cento dei residenti è italiano. Malindi è l’Ibiza del Kenya.
In che senso?
Qui tutto è possibile. Purtroppo, aggiungerei. Ci sono supermercati per italiani, negozi per italiani, bancarelle di frutta per italiani, locali per italiani, dove a volte storcono il naso, se un africano vuole passare la serata! Per vivere bene a Malindi devi estraniarti da tutto ciò che può ricordare le cose negative del nostro Paese.
Impietosa! Mi dica, cosa rende la città affascinante?
I colori. L’azzurro del cielo e dell’oceano! Malindi di per se di paradisiaco non ha molto. Ma basta spostarsi un pelino dalla capitale, per trovare le autentiche meraviglie del Kenya. La cosa che più mi ha colpita è il fenomeno delle maree. Il livello del mare cambia quattro volte in un giorno e dà vita ad uno spettacolo naturale senza uguali. Spesso ci si lamenta ed io non ho ancora capito perché!
Poi?
Le bouganville, ovunque, coloratissime, le mie preferite sono quelle fucsia. Ma ce ne sono di bianche, arancioni, rosa e rosse. Si arrampicano sui muri delle case, sui pali della luce, e si impossessano di alberi, che sembrano enormi palle colorate.
E, ancora, c’è il verde. Nella stagione turistica non si può godere al massimo del verde acceso delle piante qui in Kenya. Il periodo migliore per farlo è senza dubbio la stagione delle piogge. Allora tutto rinasce. Distese aride si ricoprono di piante di mais, che di solito viene piantato un po’ ovunque, anche ai bordi delle strade.
E poi gli alberi di mango, folti, rotondi, bellissimi. E, ancora, l’arancione. Quello dei tramonti. Ma come faccio a descriverli? Troppo suggestivi.
Come sono gli abitanti?
Cavoli che domandona. Potrei parlare per giorni, mesi. Premetto che parlerò delle persone che vivono nei villaggi, non dei malindini. I Giriama sono persone miti, pacifiche. Tendenzialmente allegre e di compagnia. Molto ospitali. Ma anche permalose e pettegole. Una delle cose che mi ha colpita in modo positivo è la capacità che hanno di stare in compagnia di qualcuno senza dover per forza dire qualcosa.
Cioè?
Sanno stare in silenzio! Purtroppo ancora la maggior parte della popolazione qui vive alla giornata, senza dover pensare troppo al domani, che per molti non arriva. Qui sanno divertirsi con poco: una canzone trasmessa da una radiolina, un po’ di gente e una bottiglia di mnazi.
Ed è già una festa! La musica è presente ovunque, anche per sponsorizzare l’ apertura di una banca. Per strada, è frequente sentire musica ad altissimo volume, che esce da enormi casse. Tanti i camioncini che girano per i villaggi con musica allegra e tante le persone che si scatenano. Questo succede anche la domenica in chiesa.
Le messe non sono mica come le nostre! Qui ci si diverte, si canta, si balla! Per una nascita come per un lutto.
E le donne come sono?
Forti, uniche, coloratissime nei loro Leso (pareo). Quello che si dice sulle donne africane non è del tutto vero.
Cosa vuole dire?
Non sono così sottomesse come si vuol far credere. O per lo meno, a volte lo sono, ma solo per libera scelta. Sanno farsi valere, sono il motore della famiglia e del villaggio, attorno al quale gira tutta la vita qui. Sono buone madri, anche se a noi europei qualche volta possono sembrare disattente. Amano curare soprattutto i propri capelli con creme, cremine.
Trascorrono ore ad accomodare le loro acconciature. Dappertutto, trovi donne sedute per strada, sotto gli alberi, dietro la loro bancarella, che si pettinano e si fanno treccine. Senza una donna non potrebbe esistere un villaggio.
Come si vive lì?
Qui c’è la vita degli wazungu e la vita degli africani, pochissime cose coincidono. Un esempio? La vita dei wazungu: mattina colazione al bar italiano, poi spesa al supermercato italiano, poi pranzo a casa con la moglie italiana.
Pomeriggio al casino’ italiano. Cena a casa con la moglie italiana, sera in giro per locali italiani con la fidanzata non italiana. Questa è la giornata tipo della maggior parte degli italiani a Malindi. Dimenticavo: sono sempre di corsa, come fossero a Milano.
La vita degli africani?
Qui varia parecchio e a seconda che si abbia o no un lavoro, che si sia donna o uomo, o bambino. E’, comunque, una vita con ritmi lenti. Per evitare di avere stress si va al lavoro, ci si ferma a bere con gli amici.
Chi può, va al bar a bere una birra (anche due, tre, quattro). Chi non ha questa possibilità, va al villaggio a bere mnazi (vino di cocco), che costa un terzo. Le donne stanno di solito a casa, la mattina lavano i panni, vanno a raccogliere la legna per cucinare e ad attingere l’acqua dal pozzo. E poi badano ai bimbi piccoli, che possono essere figli loro o di altre donne del villaggio. Qui ogni bambino è allevato dalla propria madre e dalle altre donne del villaggio.
Come si trascorrono le giornate?
La mattina io mi alzo verso le 8. Jimmy verso le 6. Non ha perso le abitudini del villaggio! Poi ci occupiamo dei cani, facciamo un po’ di pulizie. La mattina a Malindi c’è un grande caos. Gente che gira, va, viene.
La città è piccolissima, ma non so perché tutti girano in macchina. Noi non abbiamo l’auto. Ci spostiamo con i mezzi locali, di solito mototaxi. La spesa ci piace farla al mercato, anche se spesso, soprattutto nella stagione delle piogge, è un disastro. Ma la verdura è fresca lì e poi è una cosa che mi emoziona sempre. Prima di pranzo, beviamo una coca fresca, magari allo Stars and Garters, dove si incontra sempre qualcuno.
✍ Approfondimento: i Pro e Contro e tutto quello che c'è da sapere per andare a vivere in Africa
Pranzo a casa o in qualche posticino african style, dove si mangia con 1.50 euro. Ottimo cibo africano doc.
E poi?
Un bel po’ di ore al giorno le trascorro al pc per lavoro e per piacere! Poi ci dedichiamo molto alla cucina. Il tempo nella stagione delle piogge passa davvero piano piano. Così, ci divertiamo a cucinare piatti tipici africani.
E la sera cosa si fa?
Durante la settimana di solito stiamo a casa, in giro non c’è molta gente. Non ci sono turisti e mancano i soldini per andare in giro a divertirsi.
Nel fine settimana, invece, si esce. Il sabato si va allo Stars and Garters. Lì, c’è musica dal vivo. Ci si diverte molto! Qualche ora a ballare e giocare a biliardo e poi un salto in qualche altro locale: Kienyeji o Club 28.
Com’è il clima?
Fa sempre caldo. Nei mesi delle piogge la temperatura si abbassa pochissimo. Ma sale l’umidità. Il sole rende felici tutti. E’ per questo che qui tutti sorridono sempre!
Qual è l’aspetto a cui non riesce ad abituarsi?
La scarsa voglia di migliorare le proprie condizioni con conseguente rassegnazione.
Gli italiani nei confronti degli africani come si comportano?
In questo caso parliamo del Kenya, della realtà che conosco io ovvero quella di Malindi. C’è molto turismo sessuale e non se ne parla mai. Prima di venire a vivere qui non avevo mai sentito nulla sul Kenya.
Sarebbe bene cominciare a sensibilizzare l’opinione pubblica su questo aspetto. I kenyoti sono persone molto discrete, ma noi arriviamo qui come paladini della giustizia. Quello che facciamo è per forza giusto.
Noi arriviamo dall’Europa! Nessuno si chiede se le famiglie siano felici di vedere i propri figli tra le braccia di perfetti estranei, che li usano come bambolotti per farsi fotografare. Le caramelle: ma chi ha detto che i bambini qui non hanno le caramelle?
Cosa vuole dire?
Siamo così presuntuosi che ce le portiamo addirittura dall’ Italia! Qui le caramelle ci sono, solo che le mamme preferiscono dare ai bimbi quelle fatte con i semi del Baobab. Fanno meno male ai denti. Qui quasi nessuno può permettersi il dentista!
Ho visto persone lanciare penne, quaderni, biscotti dai finestrini e bambini cadere per terra per prenderli. E’ una cosa disumana. Loro non sono così. Noi li abbiamo abituati all’accattonaggio e all’elemosina.
Portare un pacco di caramelle o 10 penne non farà cambiare il futuro di un Paese. Qui le persone, i bambini devono imparare a studiare, lavorar sodo. L’Africa deve imparare a camminare con le proprie gambe! La colpa, però, non è solo del turista.
E di chi?
E’ anche dell’africano, che, per paura, non si sente di dire cosa è sbagliato e cosa no. Io e Jimmy stiamo cercando di fare questo.
Cioè?
Insegniamo ai turisti ad avere un approccio più corretto nei confronti della popolazione locale. Ma non è facile per nulla. Smettiamo di pensare che quello che facciamo sia sempre la cosa giusta.
L’aspetto bello, affascinante, magico, unico di questo posto?
La natura, le persone con i loro pregi e i loro difetti, che ti dicono le cose con una spontaneità tale da farti rimanere a bocca aperta. La musica sempre e ovunque, io la sento nel sangue.
Guardiamo altri aspetti: scuola, sanità, trasporti pubblici.
La scuola a Mombasa e a Nairobi è valida. Qui a Malindi è davvero un punto debole. Sono molto indietro. Gli insegnati non sempre sono all’altezza del ruolo che ricoprono.
In pochi hanno la consapevolezza che la scuola sia la base per il futuro dei giovani. Qui a Malindi ci sono un ospedale pubblico e molti piccoli ospedali privati. Fin ad ora non ho mai avuto bisogno di particolari cure. Anche la sanità avrebbe bisogno di fare qualche passo avanti. I trasporti pubblici sono molto più efficienti dei nostri in Italia.
Davvero?
Puoi stare in qualsiasi punto della città e trovare sempre un mezzo che offre il suo servizio. Dalla bicicletta al minibus. L’unica cosa che non va è il modo di guidare degli autisti dei Matatu, i piccoli minibus. Gli autisti sono pazzi e spericolati, talvolta pericolosi.
Io amo andare in giro con le moto taxi. Qui le strade sono per lo più sterrate e le moto taxi ti permettono di sentire meno le buche.
Tradizioni particolari, feste che l’ hanno colpita?
Anche qui ci sarebbe da raccontare parecchio. Da quando sono in Kenya, cerco il più possibile di assorbire la cultura e le tradizioni locali. Ho la fortuna di aver un compagno molto disponibile, che mi rende partecipe della vita locale.
Quando abbiamo tempo libero stiamo nel suo villaggio. Lì, davvero si imparano sempre cose nuove. È affascinante vedere le donne che si muovono, cucinano, si pettinano.
Qui tengono molto ai funerali. Si celebrano dei veri e propri Funeral Party. Un modo davvero differente dal nostro di vivere il lutto.
Perché?
In Kenya le tragedie sono all’ordine del giorno. Si cerca il modo per non rimanere soli nel dolore. Il funerale per la tribù giriama comincia di solito una settimana prima della sepoltura. Anche in questa occasione, protagonista è la musica.
Si alternano canzoni cristiane a ritmi hip hop. Fantastico! Le persone accorrono numerose: anziani, meno anziani e giovanissimi. Sempre donne da una parte e uomini dall’altra. Le danze cominciano la sera verso le 8.
Prima sono tutti o quasi al lavoro. E durano fino alle 5 del mattino. Se poi la famiglia ha qualche soldino in più, dopo la sepoltura, la cerimonia si prolunga di una settimana. In tal caso si parla di Matanga. In queste occasioni la bevanda preferita è il mnazi (vino di cocco), che sicuramente rende molto allegri i partecipanti.
Altre tradizioni?
Ah, sì, mi colpisce molto quello che succede durante l’eclissi. Ma è difficile descriverlo. Troppo commovente.
Piatti tipici?
Gli africani sono ottimi cuochi. Si mangia benissimo! L’unica pecca, a cui io da italiana non riesco e forse non riuscirò mai ad abituarmi, è la mancanza di dolci.
Per la tribu’ giriama, il piatto tipico è la sima (polenta bianca), che viene usata come pane o pasta, accompagnata da verdura, carne, pesce. Adoro le pietanze cucinate con il latte di cocco. Non parlo dell’acqua che si trova nelle noci di cocco, ma del latte che si ottiene grattando la polpa e spremendola. Una cosa da ghiottoni!
Un altro piatto tipico, ma appartenente alla cultura swahili, è il pilau, riso con spezie e carne, che la maggior parte della popolazione può permettersi, se va bene, una o due volte l’anno, in ricorrenze come il Natale o un matrimonio.
Sono molto bravi nel preparare carne e pesce alla griglia. La loro passione è la capra!
Come sono i collegamenti con l’Italia?
Per nulla convenienti. I prezzi dei voli sono molto alti.
La vita non è cara, vero? Serve tanto per ricominciare da Malindi?
Chi dice cha la vita qui non è cara, lo dice perché vive con soldi italiani. Se vivi, come me, con soldi guadagnati qui, la vita è come in qualsiasi altro posto.
Per me pagare 30 euro ogni mese per una bolletta della luce è pesante. Non possiamo permetterci di mangiare pasta tutti i giorni e la pizza, se va bene, si mangia ogni cinque o sei mesi.
Non so più cosa sia il prosciutto cotto, anche se a Malindi c’è un ottimo salumificio, ma con prezzi italiani!
Tornerà in Italia?
Solo in vacanza, ogni volta che ne avrò l’occasione.
A cura di Cinzia Ficco