Camminare: va’ dove ti portano i piedi
Di Alessandro Vergari
Camminare, non per raggiungere una meta, un luogo determinato, ma per trovare e incontrare l’altro; ecco la nuova frontiera del cammino.
Dopo anni di overdose di cammini di tutti i tipi, dove quel che conta è la meta, il percorso fatto da tappe prestabilite – basta pensare ai grandi pellegrinaggi, al loro proliferare a alle centinaia di migliaia di persone che li percorrono spesso solo con l’ansia e la fretta di arrivare il prima possibile all’ostello successivo – ecco che si sente l’esigenza del cammino errante, dove chi parte, e il bello è partire da casa propria, non sa dove arriverà perché il cammino giornaliero sarà determinato dagli incontri e dai contatti che si stabiliranno via via lungo il percorso, il cammino fatto.
Un viaggio quindi costruito sulle persone e non sui luoghi. Un vero Social Trekking, per usare un termine coniato dalla Cooperativa “Walden viaggi a piedi”, che di questa filosofia si è fatta promotrice in varie forme; dall’ideare una serie di viaggi a piedi che prediligono l’incontro con la popolazione, più che con la natura, dell’area percorsa, dall’ideare motivi d’incontro in cammino, fino a pubblicare un blog, proprio per dare spazio a questo nuovo “sentimento” che si sta sviluppando tra il popolo dei camminatori.
Tutto è iniziato a maggio con la proposta di “Và dove ti portano i piedi”, una breve uscita del sottoscritto, che ad un certo punto, proprio per uscire dai soliti meccanismi dei percorsi obbligati, dalle soste già previste, dal dovere già sapere di arrivare in un determinato posto, si è affidato completamente al caso, alle dinamiche di una serie di contatti umani, tra gli amici, ma anche tra semplici simpatizzanti, per camminare su strade e sentieri solo con lo scopo di ritrovarsi la sera da un amico, da una persona con cui condividere l’esperienza di una giornata di cammino, forse banale, ma piena di tante piccole cose, che proprio perché non si ha un programma da seguire, diventano importanti, emozionanti.
L’esperienza, anche se breve, ha avuto in poco tempo però molto seguito, anche perché uno dei perni di questa proposta era di renderlo condiviso sui social network, quindi su Facebook e su un blog, su cui raccontare, almeno due volte il giorno, quello che succedeva, per dare modo anche a chi mi seguiva di farsi avanti con un invito di passare da casa sua.
Ma non è indispensabile questa esposizione mediatica, si può anche contare solo su un contatto telefonico, oppure affidarsi completamente al caso. Certo è bello seguire giorno per giorno la concatenazione di contatti, di disponibilità, di scambi che si verifica in queste situazioni.
Nella mia breve esperienza non mi sono mai sentito così libero e sereno, sapendo di confidare sempre nell’aiuto di qualcuno che comunque mi seguiva da lontano. Ed è stato anche motivo di incontro con altri amici, che hanno approfittato dell’occasione per un rendevouz, per ritrovarsi, parlando della propria vita, di altri cammini. Ma è soprattutto una riscoperta dell’ospitalità spontanea, quella vera, fatta di condivisione di un semplice piatto di pasta e di un bicchiere di vino, di avere a disposizione un posto caldo e asciutto per stendere il proprio materassino e sacco a pelo, perché quello che ti riscalda di più è il calore dell’accoglienza. E’ come se, in queste occasioni, tornasse di nuovo a galla quel senso di ospitalità, di piacere dello scambio gratuito, che da noi si è perso, ma è ancora presente nelle società più povere e agricole.
Senza che nessuno sapesse dell’iniziativa dell’altro, sono partiti anche i due grandi camminatori Riccardo Carnovalini e Anna Rastello con un progetto ben più lungo e impegnativo; due mesi e forse più di cammino partendo da Torino e diretti… lo sapremo al loro ritorno. Sulla loro iniziativa comunque ci possiamo aggiornare via via sulla loro pagina di Facebook cliccando sul loro evento “Passpartu”, nel quale attraverseranno il paesaggio di giorno e la vita degli ospiti la sera, condividendo storie e fatti, con un breve messaggio conclusivo, da consegnare agli amici dei giorni successivi e al mondo, che verrà videoripreso per realizzare un nuovo film documentario e offrendo agli ospiti il racconto dei loro ultimi cammini.
Non posso non citare la frase di Giovenale “non è mai lungo il cammino che porta alla casa di un amico” e che l’erranza, questa situazione di viaggio senza meta, ma di apertura a tutto e a tutti è sicuramente una nuova emozione da provare.
Il mio amico Andrea, simpatico direttore della Biblioteca del Palagio di Parte Guelfa a Firenze, la prima persona che ho incontrato nella mia esperienza di cammino, mi ha offerto, su di un foglietto di carta, una semplice parola, ma carica di significato; benandante. Spiegandomi il suo significato mi si sono aperti molti mondi nuovi su questo nuovo modo di viaggiare, scoprendo che i benandanti – alla lettera, “buoni camminatori” – erano legati ad un culto pagano contadino basato sulla fertilità della terra diffuso nel nord Italia e nell’Europa Settentrionale e che si trattava di piccole congreghe che si adoperavano per la protezione dei villaggi e del raccolto dei campi dall’intervento malefico delle streghe. In più i benandanti erano coloro che nascevano ancora avvolti nel sacco amniotico, quelli che vengono ancor oggi definiti come i “nati con la camicia”, i fortunati, i privilegiati.
Nei miei giorni di cammino mi sono sentito un po’ così e non so se stanno provando la stessa cosa Riccardo e Anna, ma glielo chiederò al loro ritorno. Durante la mie esperienza non so quanti chilometri ho fatto, ne quante ore ho camminato, ne i dislivelli. Non avevo con me il GPS – non l’ho proprio – e solo occasionalmente leggevo le cartine che avevo con me. In compenso il primo giorno ci siamo salutati con tutte le persone che ho incontrato nelle strade più tranquille di Firenze, ho visto la scritta “A matre et filia aeque disto”, giusto a metà strada tra Firenze e Fiesole, ho trovato una piccola pianta erbacea che sembra appartenere alla famiglia delle ericacee e che sto cercando di catalogare e sette specie diverse tra orchidee e ofridi sul sentiero che sale a Poggio Pratone. Il secondo giorno ho visto 12 scarabei stercorari, 4 in accoppiamento e uno morto, raccolto e regalato 4 belle penne caudali di fagiano maschio, il tramonto sul lago di Bilancino, bevuto al “pisciolino” d’acqua di una fonte presso le grotte dei romiti di Monte Senario e tante altre piccole cose. Nella cucina di Mara e Marco, che mi hanno accolto nella loro casetta, custodi di un agriturismo che si affaccia sul Mugello, attaccato sulla credenza, c’è un foglio, con una frase di Gustav Mahler, che mi ha colpito molto: “tradizione è la custodia di un fuoco, non l’adorazione della cenere.”
Ecco quindi che mi aspetto che possano sorgere, dal basso, spontaneamente, dei piccoli gruppi di ospitalità spontanea, che a livello locale, possano favorire questi spostamenti tra camminatori e amici e dare la possibilità, anche in un weekend, di sperimentare questa nuova forma di cammino.
Buon viaggio!